Autostima: una questione complessa

Autostima: una questione complessa

Il modo usuale di considerare l’autostima è molto teorico, soffre del limite di una mancata corrispondenza tra ciò che viene detto e ciò che accade effettivamente nella realtà. E’ un modo apparentemente molto benevolo perché sprona sempre e comunque ad aumentare la propria autostima, ma poichè non tiene conto di ciò che accade nella realtà porta a fare delle generalizzazioni astratte invece di capire come realmente ci si dà valore e di che valore si tratta. In realtà, il punto decisivo, quando si parla di autostima è proprio capire come ci si dà valore. La modalità con cui ci si dà valore è cruciale perché spesso è basata sulla ricerca del consenso e dell’ammirazione altrui. Questa modalità di dare valore a se stessi non porta a credere in se stessi, come comunemente si pensa, ma conduce solo a forzarsi ad aderire a ciò a cui esternamente viene dato valore. Questa modalità non alimenta la fiducia in se stessi, come potrebbe sembrare, bensì quella parte di sé il cui unico scopo è bene apparire agli occhi degli altri, mostrando loro le idee e i comportamenti atti a suscitare delle impressioni favorevoli, a discapito della propria personalità autentica, che non viene fatta vivere. Dare valore a questa parte di se stessi, sostanzialmente artificiosa e plasmata sulle idee comuni di valore, non porta ad avere fiducia in se stessi ma crea soltanto dipendenza dal giudizio esterno e una estrema fragilità. Questo valore, così disgiunto dalla propria personalità autentica, aumenta soltanto il vincolo all’apparire, all’immagine che si deve avere, al risultare “bravi” non disattendendo le aspettative esterne.

Questa è la modalità più frequente di darsi valore, in cui l’altro diventa il mezzo per darsi conferme di valore e fatalmente se ne diventa dipendenti perché si antepone la sua approvazione al proprio pensiero, alle proprie scelte. In questa modalità tutta esterna di fondare la propria autostima c’è la necessità di continue conferme da parte dell’altro per sentire di valere, spesso si ha bisogno di stare al centro del suo sguardo e delle sue attenzioni. La paura di sfigurare, il senso di inadeguatezza nel momento in cui non ci si sente corrispondenti all’immagine a cui esternamente viene dato valore, lo sprofondare nell’abisso del disvalore in caso di giudizio negativo o di rifiuto, segnalano la fragilità di questa modalità dipendente di attribuirsi valore. Ci si fa dare il valore dall’esterno e così ci si fa definire, ci si inquadra dentro quelle che sono le comuni idee di valore, che non trovano corrispondenza con la propria interiorità. E’ un valore che non viene riconosciuto interiormente perché è un inseguire altro da sé, è trovare soluzioni facili appoggiandosi al consenso esterno invece di costruire la propria autostima coltivando la propria interiorità, il proprio progetto. E’ un valore che non vive di sé, dell’avere compreso il proprio progetto e del farlo vivere, ma dell’inseguire quelli che esternamente sono considerati i risultati prefissati da raggiungere in un continuo paragone con l’esterno, in un continuo cercare di essere simili a quello che gli altri mostrano, a volte ostentano, essere il valore da eguagliare.

Secondo questa mentalità si vale nella misura in cui si piace agli altri, mentre ciò che si prova, ciò che si sente, ciò che può essere riconosciuto e percepito a partire da sé e dentro di sé non viene ritenuto importante, non è su questo che vengono fondate le proprie scelte. Difficilmente una persona valuta positivamente di sé ciò che è veramente, il nucleo autentico della sua soggettività, il modo personale in cui può comprendere le cose, il modo personale in cui può interpretare la sua vita. Tutto quello che esce dai ranghi di ciò che è il modo comune di pensare viene ritenuto o impossibile e velleitario o stupido e di poco valore. Il modo personale in cui una persona può percepire una cosa, dandole un significato, non viene utilizzato come guida delle proprie scelte, ma vengono privilegiati i metri di misura esterni di valutazione. Sembra non contare il modo personale di dare significato a una cosa, anche se in realtà il valore di una cosa dipende dal significato che quella cosa ha per quella persona, da quello che significa per lei. Una cosa acquista valore perché è affine alla propria soggettività, permette alla propria soggettività di esprimersi e dunque ha un significato in base a come si è intimamente e profondamente. Il valore può nascere solo così, dal coltivare dentro se stessi ciò che ha acquisito significato nella propria esperienza interiore e che non è omologabile a quella di nessun altro. Il problema dell’autostima nasce perché all’esperienza interiore non viene data importanza e così si perde il contributo di quella guida in grado di scoprire il senso e la significatività delle cose e dunque di attribuirgli un valore. La persona non sviluppa dunque la capacità di dare valore alle cose ma se lo fa definire dall’esterno in maniera dipendente.

Quando non si costruisce l’autostima dentro se stessi, portando a realizzazione ciò che si è veramente si cerca attraverso l’altro di supplire a questa mancanza. Darsi valore attraverso l’altro è estremamente problematico perché ci si irrigidisce in un ruolo che non tiene più conto della complessità della propria personalità e si investe l’altro di un carico di aspettative che può diventare insostenibile arrivando a limitare la sua e la propria autonomia. Questo è un esempio di come la modalità in cui ci si dà valore possa essere problematica, dando conto della complessità del tema dell’autostima, che non può essere risolto in un generico darsi valore senza capire come lo si sta facendo. Altrettanto problematico può diventare il rapporto con il proprio corpo perché la modalità più frequente di darsi valore è quella di cercare l’apprezzamento dell’altro attraverso l’aspetto esteriore. E’ una delle modalità più comuni perché è la più facile e immediata. Il mettere al centro della propria autostima il corpo, il far ruotare tutto sul corpo e sull’altro che lo guarda e lo desidera, il cercare di aumentare la propria autostima cercando di “conquistare” l’altro attraverso l’aspetto esteriore è una delle maggiori fonti di insicurezza, a testimonianza del fatto che attraverso le modalità più frequenti di darsi valore non si alimenta la fiducia in se stessi ma una disunione da sè e dunque un senso di fragilità. Il rapporto con il corpo diventa infatti estremamente problematico, conflittuale, lo si tratta come un oggetto che deve piacere rispettando dei canoni esterni, temendo il suo declino o tutto ciò che ne può compromettere la gradevolezza e la desiderabilità. Ho voluto fare questi esempi per far comprendere che la questione dell’autostima è complessa e come tale va trattata se non si vuole rischiare di alimentare solo ciò che di sé ruota sull’immagine esterna invece di coltivare gli aspetti di sé più autentici e vicini alla propria interiorità…

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