L’ignoranza circa le emozioni alimenta la paura

L’ignoranza circa le emozioni alimenta la paura

La storia dell’uomo ha visto il crearsi di un notevole divario tra le sue capacità intellettive, che sono state notevolmente sviluppate e le sue capacità interiori, emotive, che non sono state riconosciute e coltivate. L’uomo moderno che si sente molto evoluto e progredito sul piano intellettuale è, in realtà, di fronte al suo mondo interiore, al pari dell’uomo preistorico. Crede che il suo mondo emotivo sia qualcosa di primitivo e poco evoluto rispetto alla sfera razionale e  per questo lo mette in subordine. In realtà è l’uomo a non essersi evoluto su questo piano, non avendo sviluppato questa parte di sè, che pertanto fatica a comprendere. Quando è davanti alle espressioni della sua vita interiore, particolarmente quando sono difficili e sofferte, crede di essere in balia di forze oscure e pericolose, che possono danneggiarlo, perché ancora non le conosce e riconosce come proprie, non avendo coltivato questa parte di se stesso. L’uomo incapace di comprendere il proprio essere si sente esposto a delle forze cieche e minacciose, ma invece di riconoscere la propria ignoranza riguardo a ciò che vive dentro di sè, inizia ad aggredirlo, aggredendo il centro vitale di se stesso, aggredendo sè.

La mancanza di consapevolezza circa la complessità del suo essere, di come è fatto e di come si esprime, lo porta a scambiare per minaccia quella che è la capacità della sua parte profonda di intervenire nella sua vita nel momento in cui il suo modo di procedere è dettato più dall’adesione a dei modi comuni di pensare che da qualcosa di veramente compreso e maturato dentro di sé. L’uomo crede di essere dotato solo di facoltà intellettive, si ferma alla superficie di se stesso, tutta la sua attività profonda gli rimane sconosciuta e come tale non ne capisce le espressioni, che vive con timore e ostilità. In realtà l’uomo è dotato di facoltà interiori, profonde, ma non le riconosce tra le sue capacità di elaborazione e di pensiero, anzi, quando si esprimono, pensa che si tratti di una patologia perché ne misconosce l’attività, la funzione, l’intento. L’uomo possiede un’intelligenza profonda capace di formare un’autentica consapevolezza, qualcosa di “veramente capito” perché frutto di una propria elaborazione e non di una semplice assimilazione di idee esterne. Siccome nella profondità di se stessi le cose vengono ben comprese e capite da questa intelligenza profonda, che ha chiara visione di cosa sta succedendo nella propria vita, dei nodi critici da affrontare, c’è una grossa autorevolezza di questa parte di se stessi nell’intervenire, attraverso dei vissuti che possono diventare particolarmente sofferti, per affrontare queste questioni decisive per la propria vita. L’interiorità cerca di portare a livello di consapevolezza qualcosa che ha capito e che la persona ha bisogno di sapere. Il punto è che si esprime con un linguaggio che l’uomo non conosce perché non ha sviluppato le competenze emotive, profonde per poterlo comprendere.

Il mondo interiore ha un funzionamento complesso, il guaio è che spesso viene “patologizzato” proprio perché non si sono sviluppate le capacità di rapporto e di dialogo con questa parte di se stessi che consentirebbero di comprenderne la complessità. L’affidamento totale al ragionamento invece che alle proprie capacità profonde, emotive, che non sono state coltivate, non rende possibile la conoscenza di questa dimensione di se stessi, del suo modo di agire, di esprimersi. Si pensa a un cattivo funzionamento mentre il problema è il non riuscire a comprenderlo nella sua complessità, a capire le ragioni profonde dei propri stati interiori. Quella interiore è una elaborazione complessa perché non è come il ragionamento, che si limita ad assimilare dall’esterno i significati, senza preoccuparsi di formare un pensiero proprio. L’elaborazione interiore non si basa su concetti generali, standardizzati, validi per tutti, ma cerca di capire ciò che caratterizza quel singolo individuo, di cogliere i significati originali, solo suoi, della sua esperienza e questo rende i percorsi interiori particolarmente difficili da decifrare perché rappresentano l’approccio soggettivo, originale, di quell’individuo alla sua esistenza, il suo modo personale di interpretarla. E’ in assoluto la capacità di pensiero più evoluta e complessa che abbiamo a disposizione, ma non ci siamo evoluti su questo piano e dunque fatichiamo a capirne il linguaggio. Il suo linguaggio è quello emotivo ed è proprio la distanza dalle emozioni, con la separazione che si è creata tra il pensare e il sentire, a rendere difficile la comprensione della propria esperienza interiore. Il problema è in questa separazione, in questa mancanza di contatto con le proprie emozione e non nelle emozioni in sé, che sono sempre estremamente intelligenti, anche quando diventano particolarmente difficili e sofferte.

Questo vuol dire che tutto quello che si muove nelle emozioni, anche quando diventano sofferte, non è qualcosa di caotico, insensato, viziato da anomalia, ma è qualcosa che è stato compreso interiormente e che sta cercando di esprimersi, di consentire la presa di coscienza. Il problema non sono le espressioni del disagio, come l’ansia, l’attacco di panico e altro stato interiore sofferto, ma il fatto di non aver sviluppato la capacità di comprenderle. E’ questo che manca e che andrebbe colmato. Il primo passo è quello di riconoscere la propria ignoranza e dunque la necessità di imparare a conoscere il proprio mondo emotivo. Se l’ignoranza non viene riconosciuta tutto ciò che si muove interiormente viene frainteso, male interpretato. L’ignoranza genera paura, fa percepire come pericoloso qualcosa, non perché lo sia veramente, ma perché non lo si intende, non lo si capisce. Il rapporto con il proprio mondo interiore è spesso segnato da questi vissuti di paura, di sfiducia nei confronti di ciò che si muove interiormente, dipinto e demonizzato come la forza oscura e minacciosa proprio per questa condizione di continuo fraintendimento. Questo è il modo usuale e diffuso di vivere le espressioni del disagio psicologico, dipinte come il male oscuro da temere e da cui guardarsi. Questa paura, legata alla mancanza di conoscenza, porta a cercare delle forme di controllo, di dominio sul prorio mondo interiore, che finiscono per aggredire ciò che di sè non si conosce. Il problema invece andrebbe affrontato cominciando a conoscere, sviluppando quelle facoltà profonde, emotive che permettono di farlo…

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