La persona alla fine di una relazione può vivere degli stati interiori di estrema intensità: il vuoto, il sentirsi persa, il sentirsi a pezzi. Si tende a pensare che queste emozioni siano dovute all’assenza dell’altro, niente viene concesso all’idea che siano il segnale di una crisi interiore, propria, alimentata da un modo dipendente di vivere che la persona ha portato avanti a lungo e dentro il quale l’interiorità le chiede di guardare. La persona non ha mai considerato il rapporto con se stessa e pertanto fatica a riconoscere che questi stati interiori si riferiscono a lei, al rapporto con la sua interiorità. Essendo abituata a considerarsi esclusivamente in rapporto a qualcuno che è esterno a sè e mai in relazione a se stessa spiega tutti i suoi stati d’animo in relazione all’altro. In questo modo dipendente di vivere ha sempre cercato all’esterno il senso della sua esistenza invece di creare le basi di un rapporto con se stessa, lasciando un vuoto che si fa dolorosamente sentire ma che lei continua a non riferire all’assenza di sè. Il vuoto viene visto come la condizione di mancanza, di privazione dell’altro. Tutti i segnali interiori di crisi vengono interpretati sulla base della perdita dell’altro invece che compresi alla luce del vuoto che si è prodotto dentro di lei in seguito a questo modo di vivere tutto proiettato all’esterno. La persona è molto lontana dal ricondurre la sua sofferenza a ciò che non ha fatto vivere di se stessa e invece di mettere in discussione tutto il suo modo di vivere continua a cercare all’esterno la soluzione, in qualcun altro, in qualcosa d’altro che dovrebbe darle la risposta al suo esistere.
Si tratta in realtà di un vuoto esistenziale che deriva da un modo di vivere che lei credeva averle fornito tutte le risposte all’esistenza e che invece si rivela profondamente irrisolto perché la persona non ha cercato dentro di sé il senso della sua esistenza costruendo qualcosa con sé, a partire da sé. La persona non si è infatti mai considerata, ha disinvestito da se stessa e ha investito tutto sull’altro. Ha cercato il senso di se stessa nell’altro e attraverso l’altro, a cui si è sempre aggrappata. Il rapporto è stata la sua ragione di vita, il fulcro attorno a cui ha costruito la sua esistenza. Il vuoto le segnala che ha vissuto sempre in funzione dell’altro invece di alimentare una sua progettualità. In questo modo dipendente di vivere non c’è stata maturazione, crescita di qualcosa di proprio e il vuoto che prova vuole aprire questa crisi facendole percepire che finora non ha costruito la sua esistenza sulla base di un legame con se stessa. Ha creduto che il senso di se stessa fosse dato dalla relazione, di esserci, di esistere, e invece non si stava facendo vivere, era completamente disinvestita da se stessa.
Il vuoto è il primo momento di consapevolezza in cui può rendersi conto di non essere mai stata in contatto con la sua dimensione interiore, alla quale non ha mai dato importanza credendo che la sorgente della vita e della realizzazione fosse il fuori e non qualcosa che può crescere a partire da lei, dentro di lei. Quella che lei credeva essere l’espressione della sua esistenza e contenere il senso di se stessa in realtà era una costruzione priva di lei, in cui ha affidato completamente all’altro il senso della sua esistenza. Questo l’ha svuotata, impoverita e la crisi che si vuole aprire dentro di lei è una crisi esistenziale sul modo in cui ha condotto finora la sua esistenza. La tendenza comune è quella a non riflettere sulle implicazioni che comporta questo modo di vivere fondato sull’altro anziché su se stessi, al contrario si continua a idealizzare il rapporto come la sorgente prima della propria realizzazione. Non si vuole riconoscere che dentro un rapporto costruito in questo modo manca il realizzarsi di qualcosa di proprio e che è questa mancanza a farsi sentire nel momento in cui si apre la crisi quando finisce la relazione.
Nonostante si facciano sentire degli importanti segnali di malessere che richiamano alla presa di coscienza è come se la persona volesse rimanere in una visione mistificata della relazione pronta solo a ribadirsi i soliti ragionamenti sull’esistenza che ritengono del tutto marginale il legame con la realtà interiore e mettono in primo piano il ruolo dell’altro. Secondo questa visione della vita, che segue la logica comune, è come se si potesse fare a meno di se stessi, è come se il legame con la propria interiorità non fosse essenziale, mentre è l’altro ad essere indispensabile. Non si vedono le implicazioni di una simile concezione della vita, che non riesce a cogliere che l’aspetto fondante il senso di se stessi è il radicamento alla propria interiorità e che il problema nasce proprio dal non aver costruito la propria vita su delle basi interiori, proprie. Fondare sull’altro la propria esistenza oltrechè essere un atteggiamento di comodo perché esonera dal farsi carico di se stessi genera un profondo squilibrio dentro di sé. Le implicazioni su se stessi sono notevoli come sottolineato dal crollo della propria identità al venir meno dell’altro che sta a significare che non era solida e questo perché poggiava integralmente sull’altro e non aveva radici interiori. C’è una insicurezza esistenziale che deriva dal non aver sviluppato una propria personalità al di là di una identità di superficie data dall’essere insieme all’altro.
Allo stesso modo se la propria stabilità emotiva ha come fulcro l’altro non può che essere estremamente fragile perché non è costruita sul legame con se stessi. La persona ha paura di perdere l’altro, quell’appiglio su cui continua a costruire il senso di se stessa e non comprende che è proprio questa condizione tutta appoggiata a un altro a non averle consentito di formare un terreno solido sotto i suoi piedi. E’ una posizione di comodo ma priva di stabilità dal punto di vista interiore. Manca di quella sicurezza intrinseca, esistenziale, che può nascere solo se si è stabilito un legame con se stessi, il fondamento indispensabile perché possa svilupparsi un senso di stabilità interna. L’appiglio dato dall’altro non ha solidità perché manca di questo legame così vitale con la propria interiorità che non è stato costruito perché ci si è affidati completamente all’altro, minando alle fondamenta la propria sicurezza personale. La propria instabilità non è dunque nel venir meno dell’altro ma in questo equilibrio fondato sull’altro anziché su se stessi, la persona crolla perché non ha costruito la sua esistenza su delle basi proprie. La crisi che si apre vuole far prendere consapevolezza che il legame con la propria interiorità è vitale, insostituibile, non rimpiazzabile con soluzioni esterne a cui ci si è aggrappati credendo che da lì potesse alimentarsi un senso di sé e della propria esistenza. Il rischio è che la persona continui a cercare all’esterno la soluzione, senza mai riallacciare il legame con se stessa, perdendosi sempre di più. In questo modo rischierà anche di minacciare le sue relazioni future che risentiranno di un legame improntato alla dipendenza con tutte le conseguenze che esso comporta non solo su se stessi ma sulla relazione stessa. Soltanto se la persona ha esperienza di se stessa come individuo può crearsi la possibilità di un rapporto basato sull’incontro di due soggetti e non sulla dipendenza reciproca…