Un atteggiamento diffuso che alimenta numerosi fraintendimenti circa la dimensione interiore è quello che la considera alla stregua di una macchina, priva di vita, di capacità riflessiva, di intenzionalità. Tutto viene spiegato in termini meccanicistici, secondo il paradigma causale, che riduce la psiche a un meccanismo che si limita a reagire in modo automatico a delle cause esterne. Si pensa che dentro se stessi scattino degli automatismi, che ciò che si sente sia l’effetto e la conseguenza scontata di qualcuno o qualcosa che ha agito su di sè dall’esterno. Gli stati interiori di disagio vengono spiegati come il danno causato dall’esterno, più spesso ricondotto all’epoca infantile. Questa visione così riduttiva della dinamica psichica non riesce a concepire che vi sia qualcosa di vivo dentro di sé, capace di dare forma a qualcosa di proprio e che il disagio rappresenti il forte richiamo di questa parte viva e propositiva di se stessi a portare a compimento questa progettualità quando la persona se ne allontana.
La vita interiore in tutte le sue espressioni, anche le più sofferte, è generata da dentro perché l’interiorità non è un meccanismo inerte plasmato dall’esterno ma è dotata di iniziativa e autonomia. La psiche ha in sé un principio creativo che guida alla realizzazione di tutte le sue potenzialità e il disagio rappresenta questa spinta interiore molto forte a far maturare qualcosa dall’interno, in accordo con ciò che si è profondamente. La psiche è una intelligenza viva che ha una sua capacità di autodeterminarsi e il disagio è proprio l’interiorità che prende la parola per autodeterminarsi, per ritrovare il proprio progetto. Nulla viene concesso all’esistenza di questa parte viva dentro di sé, capace di portare avanti un suo pensiero e un suo progetto, ma la dimensione interiore viene equiparata ad una macchina che deve riprodurre un modello standardizzato, quasi fosse un insieme di ingranaggi regolati da principi esterni dati per scontati, come il principio di normalità che sembra aver preordinato e predefinito tutto. In questo modo si fraintende la proposta interiore che attraverso il disagio vuole far comprendere alla persona che questi modelli esterni, che lei dà per scontati, non le corrispondono. Le spinte interiori più forti, come i sintomi, sono quelle indirizzate a percorrere un proprio cammino di autonomia, a richiamare la persona a realizzarlo e non certo l’indicatore di una avaria di una macchina che dovrebbe funzionare in un modo standardizzato, secondo quanto esternamente è stabilito essere giusto e auspicabile.
Il termine “funzionamento” che attiene a delle macchine, a degli elettrodomestici, viene sempre più ampiamente utilizzato per spiegare l’esperienza interiore umana. Secondo questa logica meccanicistica il sintomo è l’indice di un malfunzionamento invece che la parte viva di sè che sta compiendo un movimento riflessivo per rivelare degli aspetti di se stessi di cui è importante prendere consapevolezza. E’ questo movimento riflessivo che andrebbe assecondato e compreso, invece secondo l’ottica meccanicistica sembra che tutto debba concentrarsi sulla ricerca delle cause che hanno determinato il guasto per aggiustarlo e ripristinare il normale funzionamento. Facilmente in questo modo si comincia a teorizzare sulla dimensione interiore, distaccandosi dal proprio sentire. Ci si riferisce a definizioni, assiomi che riducono la dinamica psichica a una meccanica di cause e effetti invece di ricondurla a una dialettica interiore, al confronto della persona con se stessa. Si è lontani dal pensare che le espressioni del disagio siano il frutto di una iniziativa della parte profonda che vuole impegnare la persona nel rapporto con se stessa. Non c’è un guasto provocato dall’esterno ma una persona che si è allontanata da se stessa e che dunque ha bisogno di prendere consapevolezza di tutti i modi in cui si è estraniata da sé. I sintomi esercitano una forte presa sulla persona per portarla dentro di sé, in contatto con se stessa, e non certo per estraniarla ulteriormente dentro una logica meccanicistica tutta esterna. Queste espressioni della vita interiore pertanto non sono ingranaggi guasti da sistemare insistendo sulla ricerca delle cause ma la voce del profondo di cui occorre imparare a comprendere il linguaggio.
Continuare a spiegare l’interiorità sulla base di questo funzionamento che si crede debba avere significa perdere la dimensione del dialogo e dell’incontro con la parte profonda, concepita soltanto come un meccanismo da aggiustare e tenere a bada. In questo modo la persona si chiude alla comprensione del senso della sua esperienza interiore, non la riconosce come parte di un percorso che vuole permetterle di ritrovare il legame con se stessa. Il lavoro analitico dovrebbe esse volto a far comprendere che l’inconscio non è un oggetto disfunzionale da aggiustare ma una forza vitale che vuole favorire la presa di coscienza su dei temi centrali della propria esistenza. Il rischio altrimenti è di ricadere nella visione meccanicistica, spogliando così la dimensione interiore della sua natura vitale e riflessiva. Eppure sono così vive le impressioni che gli stati d’animo lasciano dentro di noi, così forte il coinvolgimento emotivo che determinano. L’intensità, la forza, la partecipazione di tutto il corpo permettono di riconoscere quanto è sentito, vivo dentro di sé quello che si sta provando, quanto urge e preme dall’interno. E’ qualcosa di partecipato dal dentro, con una intenzionalità molto forte, frutto della parte viva e propositiva di se stessi. C’è qualcosa che sta premendo da dentro, che sta facendo capire che è fondamentale prendere consapevolezza di alcuni aspetti della propria esistenza. Noi non siamo mossi da automatismi come una macchina, ma da una parte viva dentro di noi che muove tutti i nostri stati d’animo in maniera voluta, intenzionale. Tutte le risposte interiori sono pertanto dense di significato e tendono a una finalità che è fondamentale comprendere, anche quando sembrano strane o all’apparenza incomprensibili.
L’incomprensibilità è data dalla complessità della elaborazione inconscia che richiede di prendere familiarità con il mondo interiore, con il suo linguaggio. Ciò che sentiamo è il frutto di questa iniziativa interiore che sta cercando di condurre la persona a comprendere degli aspetti della sua esistenza per lei essenziali. Le risposte interiori sono pertanto intelligenti, finemente coordinate e modulate dall’interiorità e orientate ad ottenere delle trasformazioni necessarie alla persona. L’interiorità è capace di dare delle risposte interiori che racchiudono un pensiero molto articolato e finalizzato alla crescita dell’individuo. L’interiorità, lungi dall’essere un oggetto danneggiato dall’esterno, in ogni esperienza interiore è capace di dare le spinte necessarie per favorire la consapevolezza e lo sviluppo della persona nella direzione di se stessa. Continuare a ritenere le espressioni più difficili e sofferte della vita interiore dei meccanismi che si sono alterati priva la persona della possibilità di ritrovare un equilibrio più corrispondente a se stessa, verso il quale la sua interiorità sta tendendo proprio attraverso i sintomi. E’ fondamentale che la psicoterapia sia consapevole di queste potenzialità dell’inconscio e le sappia valorizzare ai fini di una autentica guarigione…