Il vero dramma

Il vero dramma

Credo che l’aspetto più drammatico di fronte all’esperienza del disagio psicologico sia quello di non comprenderne il significato, rimanendo in una condizione di incomprensione e di incomunicabilità rispetto a se stessi. Il vero dramma è non comprendere il senso dell’esperienza interiore e la sua finalità, travisando l’intento della parte profonda che è quello di riavvicinare la persona a se stessa, ristabilendo quel legame così vitale con il suo mondo interiore che si è spezzato. La sofferenza interiore continua ad essere vista come qualcosa che danneggia la persona, la priva e la penalizza invece di essere riconosciuta come ciò che in modo propositivo è impegnato a far sviluppare, a far vivere qualcosa di sé. Nel disagio psicologico è racchiusa una spinta fortissima a far crescere qualcosa di proprio, una forza vitale che sta cercando di creare delle condizioni di intesa e di contatto con se stessi che possano consentire alla persona di portare a maturazione qualcosa che le corrisponda profondamente, laddove finora si è mossa sempre fuori di sé, rimanendo tutta rivolta all’esterno.

La parte profonda sta spingendo da dentro affinchè la persona possa ritrovare l’intesa con se stessa perché questa è la premessa fondamentale per un cammino di vita che sia fondato su qualcosa di proprio invece che passivamente condotto seguendo delle idee esterne e comuni. Il sintomo, sia esso di natura ansiosa o depressiva, ma anche nelle sue manifestazioni più strane e inusuali,  è proprio ciò che sta cercando di creare un iniziale contatto con il mondo interiore richiamando la persona a portare lo sguardo dentro di sé. Trattiene la persona su di sé, la richiama a sé, per impegnarla a creare le condizioni del suo futuro sviluppo, per consentirle di compierlo nel modo più rispettoso a ciò che vive dentro di lei. Sta cercando di aprirle l’accesso all’interiorità, di avvicinarla al mondo interiore, di renderle riconoscibile ciò che ha dentro di sé e che è stato oscurato e distorto da ciò che ha continuato ad  attribuire a se stessa, prendendo dei significati all’esterno e appiccicandoseli addosso, formando una consapevolezza che non trova corrispondenza con il suo mondo interiore. La parte profonda, attraverso l’esperienza del disagio, le vuole restituire i significati intimi, interiori, autentici di se stessa per fondare la sua esistenza su delle basi interiori, solide, radicate a sé. Il suo proposito è di guidarla in un percorso di consapevolezza e di maturazione affinchè ciò si renda possibile.

Il vero dramma è il fraintendimento di questi significati dell’esperienza interiore, tacciata di essere un meccanismo alterato poichè non si adatta a ciò che la persona ha in testa in modo preconcetto seguendo passivamente delle idee esterne e comuni. Ciò che è veramente temibile è la distanza, la separazione da se stessi che si alimenta fino a quando l’interiorità in tutte le sue espressioni, anche quelle più intense e difficili, non viene riconosciuta come la forza che sta cercando di favorire questo riavvicinamento, ma respinta come qualcosa di anomalo e avverso e vissuta come il nemico da temere in un estenuante braccio di ferro con se stessi all’insegna del contrasto continuo rispetto a ciò che da dentro sta cercando di emergere e di essere ascoltato. Invece di accoglierlo lo si combatte, lo si forza a tutti i costi ad aderire e ad adattarsi alla direzione prefissata che ci si è dati inseguendo dei modelli esterni che non trovano corrispondenza con il mondo interiore. In questi continui tentativi di forzare le cose, di aggiustarle attribuendo all’interiorità dei  significati che non le appartengono si logora il rapporto con se stessi, ci si irrigidisce sempre di più dentro una visione dell’esistenza che non rispecchia il proprio mondo interiore. Il rapporto con se stessi si riduce a questa continua manipolazione dei contenuti interiori, forzati dentro spiegazioni e teorie estranee all’interiorità che la fraintendono anziché comprenderla. Si finisce con il teorizzare sul mondo interiore per forzarlo a dire ciò che si ha già in modo scontato in testa invece di ascoltarne la voce, che rimane del tutto inascoltata.

In questo modo si rimane soltanto  nella paura che il sintomo si ripresenti, tesi a gestirlo, senza mai comprendere che ha una senso la sua presenza e che dunque gli va dato spazio e ascolto. Ci si guarda le spalle da ciò che invece sta cercando di favorire un riavvicinamento a se stessi e che dunque andrebbe accolto invece di opporgli un rifiuto preconcetto nei tentativi di correggerlo e gestirlo. Il continuo temerlo come il nemico, il continuo tentativo di tenerlo a bada e di respingerlo non fa che peggiorare le cose alimentando sfiducia, confusione e incomprensione rispetto a se stessi. Ci si chiude al dialogo con l’interiorità e tutto si riduce a cercare di superare e sconfiggere ciò che non è mai stato compreso nei suoi significati e nella sua proposta ma semplicemente zittito sulla base di idee preconcette, estranee a sè.

Il punto di svolta è  il  momento in cui la persona cessa di trattare la propria interiorità come un meccanismo alterato e comincia a intenderne le ragioni, comprendendo che ciò che ha dentro di sé, anche nelle espressioni più sofferte, la vuole guidare a comprendere degli aspetti della sua esistenza di cui ha bisogno di prendere consapevolezza, facendole compiere dei passaggi per lei essenziali. E’ fondamentale che la psicoterapia la guidi a compiere questo passaggio, facendole capire che dentro di lei non c’è qualcosa di insensato o avverso che va aggredito per metterlo a tacere, ma qualcosa di molto capace, intelligente e propositivo di cui va ascoltata e compresa la voce. L’esperienza interiore ha moltissimo da dire  e da dare se bene avvicinata, è il nutrimento di cui la persona ha bisogno in quel momento della sua esistenza perché è capace di restituirle la consapevolezza di cui necessita per proseguire il suo cammino in modo più aderente e corrispondente a se stessa…

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