La visione dell’inconscio è sempre stata riduttiva e costellata da numerosi fraintendimenti circa la sua vera natura. Credo che questo misconoscimento non sia casuale ma rifletta il vertice di osservazione, che è sempre stato quello mentale, incontrastato e dominante. Si è sempre osservato l’inconscio attraverso la parte conscia e ciò ha portato ad averne una visione estremamente riduttiva nonchè distorta dalle numerose teorizzazioni che gli sono state costruite sopra, fraintendendone la portata, la natura, l’attività. Penso che ciascuno possa rendersi conto di quanto la parte mentale sia dominante, osservando quanto si affidi in maniera pressochè esclusiva al ragionamento, credendo che non ci sia altro modo per capire, per pensare. La parte conscia, sentendosi superiore, guarda all’inconscio come a qualcosa di inferiore, un semplice contenitore dove andrebbero a finire i contenuti rimossi e gli scarti della sua attività, negandogli qualsiasi capacità di generare autonomamente un pensiero. La prospettiva andrebbe radicalmente rovesciata, cominciando ad osservare la parte cosiddetta conscia attraverso l’inconscio, ponendo l’inconscio come vertice di osservazione e di analisi. L’inconscio non è un recipiente dove vanno a finire i prodotti dell’attività cosciente ma ha una sua attività autonoma, di gran lunga superiore a quella del “ragionamento” in quanto a capacità di comprendere le ragioni profonde della sofferenza, individuando i punti critici che la persona ha bisogno di analizzare. L’inconscio infatti è in grado di generare un pensiero che è dotato di un notevole acume analitico, riesce ad analizzare i modi di pensare della persona, i suoi atteggiamenti, le basi su cui ha costruito la sua esistenza, aiutandola a coglierne le criticità così da non esserne agita inconsapevolmente. E’ altresì capace di cogliere il nucleo profondo della propria identità, così da orientare la persona nel suo progetto, in modo che sia corrispondente alle sue aspirazioni autentiche.
La parte profonda pensa riflettendo, permette alla persona di prendere la distanza riflessiva per potersi guardare nei propri atteggiamenti, nei propri modi di pensare, nelle parti di sé più critiche, così da non rimanere aderente all’immediatezza di quello che è abituata a pensare e a fare, ritenendolo ormai scontato. Il ragionamento, senza l’apporto dell’inconscio, non ha questa capacità di sguardo, essendo appiattito nell’immediatezza di ciò che crede di sapere già, in concetti già pensati, subito tradotti, senza l’atto riflessivo. Il ragionamento si affida a delle spiegazioni esterne, a un pensiero già fatto, immediato, non elaborato interiormente. L’elaborazione richiede di attingere alla sorgente inconscia del pensiero, altrimenti è un rimasticare dei concetti i cui presupposti sono già dati e mai analizzati, dunque mai realmente pensati. L’inconscio permette di andare a guardarsi proprio nell’attività di pensiero e questa è una funzione riflessiva fondamentale per rendersi conto di questi limiti del proprio modo di ragionare. La persona è infatti spesso chiusa dentro un pensiero stereotipato, che ruota intorno alle solite spiegazioni, prese passivamente dall’esterno e slegate dalla dimensione interiore, che viene così travisata. Il ragionamento, così slegato dall’interiorità, non riesce a cogliere i veri nuclei del problema, i nodi centrali che la persona ha bisogno di chiarire a se stessa e finisce per essere del tutto inconcludente se non addirittura fuorviante. La natura riflessiva dell’inconscio consente di mettere in luce tutte queste distorsioni del pensiero razionale e grazie a questa attività permette alla persona di guardare la propria esperienza interiore, a partire dalla sua sofferenza, nella prospettiva che le fa cogliere gli aspetti veri del problema, senza più fraintendimenti. L’inconscio ha questa natura riflessiva, questa capacità di essere punto di osservazione di se stessi, un vertice d’osservazione fondamentale se si vuole comprendere la propria esperienza interiore nei suoi significati intimi, riscoperti nella loro natura originaria, priva delle deformazioni apportate dalle spiegazioni che la persona si è ripetuta innumerevoli volte. La persona, senza questa possibilità di osservarsi attraverso il suo inconscio, prendendo la distanza riflessiva che le permette di guardare i suoi modi di pensare e i suoi atteggiamenti, si perde nel ragionamento, nelle sue teorizzazioni e mistificazioni, senza rendersi conto dei fraintendimenti di significato in cui si insacca il suo pensiero, sviandola dalla comprensione autentica di sé e della sua sofferenza.
Questo mutamento di prospettiva, che vede nell’inconscio il vertice d’osservazione, incontra la resistenza, spesso intransigente, della parte mentale che vuole negare l’esistenza di una dimensione più alta, più ampia e dotata di una maggiore capacità riflessiva da cui osservare l’attività cosciente. In realtà l’inconscio è proprio questo, è un punto di osservazione esterno all’attività cosciente che permette di analizzarla nei suoi aspetti più critici, che limitano pesantemente la possibilità che la persona ha di comprendere ciò che le sta accadendo interiormente, le ragioni del suo malessere, il significato dei suoi sintomi. L’attività mentale senza la possibilità di osservarsi e di prendere coscienza di sé attraverso l’attività regolatrice e riflessiva dell’inconscio perde l’orientamento perché in assenza del riferimento interno, dato dall’inconscio, comincia a prendere dei riferimenti esterni inseguendo passivamente delle idee comuni a cui aderisce e da cui si fa trascinare. Il ragionamento è dipendente dai modi comuni di pensare, ripete delle spiegazioni che hanno alla loro base dei modi preconcetti di vedere le cose e li applica alla propria esperienza interiore, in primo luogo alla propria sofferenza, travisandola. Le basi del ragionamento sono largamente prestabilite e dunque la persona tende a ripetersi le stesse spiegazioni, rimanendo incastrata in ragionamenti che hanno degli a priori ormai prefissati, senza essere più verificati. Il ragionamento si illude di essere libero, di riuscire a vedere i suoi automatismi, di essere superiore ai preconcetti, ma in realtà, in assenza del legame con l’inconscio, rimastica le solite cose, non riesce a uscire dalla sua dipendenza dai modi comuni di pensare. Solo se il pensiero utilizza la guida dell’inconscio può svincolarsi da queste idee comuni, in primo luogo rendendosi conto del vincolo, guardandolo attraverso l’attività riflessiva dell’inconscio. L’inconscio non è un accessorio, ma è fondamentale per una attività di pensiero che voglia dirsi autonoma.
L’attività mentale è inoltre preda degli atteggiamenti manipolatori della persona perché su di essa viene esercitato un controllo cosciente. L’attività inconscia è invece dotata di una natura autonoma, non manipolabile e ciò la rende non soltanto vera, ma capace di guidare la persona alla presa di coscienza di queste complesse dinamiche manipolatorie che mette in atto. Per capire la natura autonoma dell’inconscio basti pensare ai sogni che vengono elaborati di notte quando viene meno il controllo razionale o alle emozioni che spesso tradiscono quello che mentalmente una persona tende a ripetersi e di cui vorrebbe autoconvincersi. La persona ha bisogno di rendersi conto di questi atteggiamenti manipolatori, delle spiegazioni di comodo che spesso si dà, altrimenti è la prima a rimanerne risucchiata, allontanandosi dalla possibilità di comprendere se stessa. La spirale di questi atteggiamenti, spesso di natura vittimistica e manipolatoria, può farla sprofondare se non si fa aiutare dalla capacità analitica della sua parte profonda, in primo luogo attraverso l’elaborazione contenuta nei suoi sogni, che è capace di mettere in luce tutte queste tematiche. L’inconscio è dunque la guida insostituibile a cui affidare il percorso analitico se non ci si vuole perdere nei propri ragionamenti e negli atteggiamenti problematici che li sottendono…