Attacchi di panico: un’invalidità o un’opportunità?

Attacchi di panico: un’invalidità o un’opportunità?

La visione  predominante degli attacchi di panico è invalidante, vede in essi una condizione di malattia, di menomazione, generalmente ricondotta a delle cause esterne che avrebbero determinato questo anomalo e dannoso modo di reagire. Questa è  l’interpretazione razionale, che nelle espressioni più difficili della vita interiore vede soltanto delle risposte anomale a qualcosa di esterno, senza mai pensarle generate da qualcosa di interiore, da una forza profonda dotata di capacità riflessiva che proprio attraverso quel sentire così sofferto vuole aiutare la persona a riavvicinarsi a se stessa, facendole prendere coscienza di atteggiamenti e modi di vivere che la stanno allontanando dalla sua interiorità. La parte profonda la sta incalzando dall’interno per farle prendere coscienza che si sta affidando a un modo di vivere, preso dall’esterno, che è improntato all’estraniazione da se stessi invece che al legame con la propria interiorità.

La persona continua a confidare nel modello comune, che non dà valore a ciò che può maturare a partire dal legame con la propria interiorità e la porta ad aderire all’esterno in modo passivo. Questo continuo affidamento a dei modi di vivere che non sono fondati sulla costruzione di un rapporto con la dimensione profonda e che dunque non poggiano su un riferimento interiore porta la persona a perdere il contatto con se stessa e ad un estremo disorientamento, come il sentire sta cercando di comunicarle attraverso il sintomo. Sono modi di vivere che rimangono ancorati ad un piano superficiale, tutto razionale, in cui l’unica preoccupazione è quella di essere ben  giudicati, di mostrarsi adeguati al modello che riscuote il consenso esterno. Tutta la vita può essere spesa in questa direzione, inseguendo obiettivi che non trovano corrispondenza con la propria interiorità ma che vengono tenacemente perseguiti perché esternamente viene attribuito loro valore.

Lo sguardo comune tiene in  piedi questo modo di vivere, dando approvazione e riconoscimento, mentre l’interiorità dà l’allarme, così da richiamare con forza la persona a domandarsi cosa sta facendo di se stessa, ad occuparsi di una questione così decisiva per la sua esistenza. I segnali interiori giudicati dannose anomalie sono in realtà l’espressione di una forza vitale, profonda, che aspira a realizzare qualcosa di proprio, che è impegnata in una ricerca di senso  e non si rassegna ad essere piegata a costruire passivamente qualcosa che ricalca ciò che esternamente vien detto essere “giusto” e auspicabile. La razionalità, tutta rivolta all’esterno, nega l’esistenza di questa intelligenza profonda, dotata di capacità di pensiero e di intenzionalità, non la ascolta e pretende di procedere del tutto slegata da essa. L’attacco di panico è l’irruzione di questa forza vitale che cerca di riprendere il suo spazio, che fa percepire alla persona tutte le implicazioni che il suo atteggiamento razionale ha sulla sua vita, la pericolosa distanza che si genera da se stessa, lo smarrimento e il disorientamento estremi dovuti all’essere del tutto slegati da sé, la minaccia alla propria identità profonda.

E’ una percezione di sé che sconvolge quella a cui la persona è abituata, perché la razionalità è solita banalizzare tutti quei segnali interiori che fanno percepire alla persona che non è radicata alla sua interiorità, mentre la parte profonda attraverso l’attacco di panico riporta in primo piano questa questione, travolgendo ogni tentativo razionale di manipolare e di silenziare il proprio sentire. La persona è abituata a respingere il senso di inquietudine, a non farsi domande, andando dietro all’atteggiamento comune che è tutto improntato al ribadire i soliti ragionamenti, al rinsaldarsi nelle posizioni che ricalcano la logica esterna. L’attacco di panico la costringe a guardare dentro questi modi di vivere, fonte di inquietudine e di sofferenza perché colpiscono di sé la parte più vitale, che non viene fatta vivere. Sono proprio questi stati interiori di inquietudine, questi “brutti” pensieri che la mente osteggia come una  cosa negativa a offrire la più grande possibilità di ritrovarsi, di ristabilire un legame con la propria interiorità. Il terrore, il panico sono energie vitali di cui va recuperato il significato “salvifico” perché  stanno segnalando che si sta mettendo in pericolo la propria vita, chiudendola dentro percorsi prestabiliti, invece di aprirsi alla scoperta di sé.

L’attacco di panico, anche se terrificante, offre una possibilità alla persona. Il problema semmai è l’atteggiamento cosciente che non si preoccupa di quello che sta accadendo, che non guarda e non indaga quando l’interiorità manda dei segnali di pericolo. Quando l’attacco di panico si manifesta tutto quello che si era ipotizzato a livello razionale viene smontato in maniera travolgente. La razionalità manipola il sentire, costruisce barriere e filtri fatti di ragionamenti e di idee comuni che impediscono una autentica percezione di sé. L’attacco di panico è un’esperienza totalizzante che non concede nulla alla razionalità perché vuole portare la persona a percepire fedelmente ciò che le sta succedendo interiormente al di là delle manipolazioni razionali cui è abituata.

E’ la forza vitale più potente che irrompe per richiamarla dal suo solito modo di ragionare astratto, dai suoi tentativi di controllo sul suo mondo interiore. Le dà l’autentica percezione che vivere senza il legame con la dimensione interiore la fa smarrire, privando di senso la sua esistenza, anche se tutto fuori sembra dire il contrario. Le restituisce una visione autentica di se stessa, facendole percepire che il terreno su cui poggia non è solido, perché non è radicato interiormente, anche se i suoi ragionamenti, sulla scia del pensiero comune, sembrano rassicurarla del contrario. Se la razionalità non dà peso al rapporto con se stessi e quindi continua a tenere in piedi un’immagine di sé tutta costruita su basi esterne, l’interiorità mostra la perdita, l’estraniazione che in questo modo si produce. Ha la forza e la violenza di una energia che vuole vivere, che vuole essere presente, che non si arrende allo svuotamento di senso che una vita slegata dalla dimensione interiore inevitabilmente comporta. Il fatto che si imponga significa che l’esigenza di un coinvolgimento profondo, di una condivisione con la propria interiorità è vitale.

E’ fondamentale recuperare il significato interiore dell’attacco di panico, che riguarda il legame dell’individuo con la sua interiorità. Occorre dunque volgere lo sguardo all’interno, altrimenti si continueranno a interpretare gli attacchi di panico in un’ottica positivista/comportamentista come risposte a stimoli esterni. Si vedrà nella paura solo un qualcosa di reattivo all’esterno e si riterrà  di doverla superare. Questo è il punto di vista razionale, dell’Io, che crede sempre di aver a che fare con qualcosa di esterno che deve vincere o superare. La paura viene vissuta esternamente in rapporto a degli stimoli invece che interiormente come condizione di angoscia e di apprensione per la propria vita. Il sentirsi paralizzati, il respiro che viene a mancare, non sono una risposta sproporzionata a stimoli esterni ma il frutto di una iniziativa della parte profonda che arriva a paralizzare quando la persona non sta andando nella sua direzione ma continua a seguire passivamente i modi comuni di pensare. Le energie paniche non hanno a che fare con cause o stimoli esterni ma sono energie profonde che stanno riportando in primo piano una questione decisiva, quella del far vivere la propria interiorità, del partecipare di essa, del sentirsene coinvolti. Il senso di estraneità rispetto a se stessi e alla propria vita che il sentire sottolinea con estrema intensità negli attacchi di panico è un segnale che vuole permettere alla persona di percepire il distacco dalla sua dimensione interiore, la sua condizione di estraniazione da se stessa.

In assenza di questo legame la realtà perde di consistenza, si svuota di senso perché manca il coinvolgimento profondo, la condivisione di ciò che si sta facendo con la propria interiorità. La razionalità non considera minimamente questo problema, preoccupata soltanto di mostrarsi corrispondente ai modelli esterni. L’attacco di panico invece fa capire alla persona che questo legame è essenziale, vitale, perché tutto perde di senso in sua assenza, fino alla sensazione di impazzire, di morire. Fa capire non in astratto ma nell’intimo del proprio sentire, del proprio essere, che il legame con il dentro è prioritario, spazzando via tutte le costruzioni razionali che invece non gli attribuiscono importanza. Combattere l’attacco di panico ritenendolo una malattia seguendo la diffusa visione invalidante che si ha di esso significa contrastare la natura più vitale e creativa che si ha dentro di sé.

Occorre recuperare tutto il potenziale evolutivo insito in esso, perché si tratta di un estremo richiamo alla vita e alla progettualità, che smantella i punti di riferimento a cui la persona è abituata a ragion veduta visto che sono estranei alla sua interiorità e non le consentono di esprimere e portare a maturazione ciò che di più intimo e profondo le appartiene. La finalità è di restituirla a un progetto autentico, radicato alla propria interiorità che dovrebbe essere il fine di ogni psicoterapia, che dunque è fondamentale favorisca l’ascolto del sintomo, assecondandone le spinte vitali…

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