Comunemente la crisi viene vista come qualcosa di negativo, da scongiurare. L’atteggiamento più frequente, all’emergere dei segnali interiori di crisi, è quello di correre ai ripari, confermandosi nelle proprie posizioni, cercando di fare salvo l’esistente. Si pensa che la minaccia sia rappresentata da ciò che da dentro si fa sentire con decisione nel voler vedere chiare le cose, mettendole in discussione, mentre la reale minaccia è rappresentata da questo atteggiamento che impedisce alla persona di ascoltare quei segnali interiori che la stanno impegnando su se stessa, mostrandole degli aspetti di sé critici, ancora incompiuti e che le richiedono di fare un lavoro su se stessa.
Questi modi di rinfrancarsi dicendosi che “va tutto bene” e che non c’è nulla da mettere in discussione di se stessi sono soltanto all’apparenza benevoli e favorevoli. Se li si guarda più in profondità ci si può accorgere che non permettono alla persona di guardare fino in fondo dentro se stessa e di scoprire le ragioni del suo malessere. Sono modi che censurano e precludono allo sguardo quegli aspetti gravosi e spiacevoli di se stessi con cui è invece fondamentale entrare in contatto, lasciando che la crisi si apra. E’ fondamentale che la persona possa avvicinare tutto di sé, della propria esperienza interiore, senza giudizio.
Lo sguardo deve potersi portare su ogni cosa, anche sugli aspetti spiacevoli, gli errori, le cadute. Questi aspetti di sé non vanno temuti, ma conosciuti, incontrati. Lo sguardo sul mondo interiore non deve escludere nulla, la persona deve poter entrare in contatto con ogni parte di sé, senza alcuna preclusione. L’interiorità chiede un’attenzione crescente verso tutto quello che interiormente si fa sentire, anche quello che riteniamo spiacevole, doloroso da dirci. Sono proprio le parti di sé ritenute poco presentabili ad aprire le più feconde possibilità di sviluppo psicologico. Queste esperienze di noi così sofferte sono le risorse interiori più preziose che abbiamo a nostra disposizione. Non serve confermarsi, rinfrancarsi per recuperare il rapporto con se stessi, occorre invece guardare dentro alle cose, metterle in discussione, aprendosi così alla ricerca interiore.
L’interiorità non è in questo atteggiamento di conferma, che porta la persona a chiudersi in posizioni consolidate, che spesso la tengono lontana da se stessa, bensì vuole avvicinare ogni cosa, guardarla fino in fondo, per riavvicinarla a sè. L’interiorità è impegnata nella ricerca del vero e per fare questo occorre vedere anche delle parti di sè scomode, problematiche. I percorsi interiori sono complessi e sofferti, si compiono passando attraverso delle parti di sé impegnative, senza tacersi delle verità dolorose. E’ proprio nel momento in cui la persona riesce a dirsi queste verità difficili che rafforza il legame con se stessa, non nel confermarsi dentro equilibri che non hanno radici interiori e di cui l’interiorità sta cercando di rivelare tutta la fragilità. Entra in confidenza, in intimità con se stessa perché è vicina a tutto quello che si muove dentro di lei, non respinge nulla. E’ fondamentale che la persona possa aprire questo confronto con se stessa visto che il malessere interiore origina dalla distanza che si è creata dalla propria interiorità. La persona ha infatti investito tutto fuori di sé, senza considerare l’esistenza di una realtà interiore, da cui è dunque rimasta del tutto slegata.
E’ importante poter riconoscere questa assenza di legame con se stessi e non darsi pronte rassicurazioni che impediscono alla persona di incontrare tutte quelle modalità che l’hanno portata ad estraniarsi da se stessa, scavando una distanza dalla sua interiorità. La persona tende invece a spiegare la sua sofferenza attraverso delle cause esterne che eludono il confronto con se stessa. E’ come se il problema non fosse mai lei, i suoi modi di entrare in rapporto con se stessa, ma sempre qualcosa di esterno a cui attribuisce la sua sofferenza. Mistifica così la sua immagine, non si guarda, guarda ciò che vuole. Riferisce tutto all’esterno, evitando di guardare se stessa, di riflettere. Riflessione significa riferire tutto a sé, non a cause esterne. E’ l’atto di guardarsi allo specchio, di guardarsi dentro. L’interiorità le chiede questo movimento riflessivo, di vedere finalmente il problema come interno e non più esterno, di riconoscere che è cruciale il modo in cui è entrata in rapporto con se stessa. La psicoterapia dovrebbe rappresentare il momento in cui la persona sposta il suo sguardo dall’esterno all’interno, rivolgendosi a sè in un cammino che la accompagni a confrontarsi con se stessa. E’ questo confronto con se stessa a mancarle e a impedirle qualsiasi trasformazione. Occorre un sacrificio dell’Io che vorrebbe già dirsi compiuto e invece deve riconoscere di essersi smarrito cercando il senso di sé aderendo a dei modelli esterni. Ha preteso di camminare disgiunto dall’inconscio, seguendo dei percorsi prestabiliti, senza radici interiori. Questo terreno mostra ora tutta la sua fragilità perché non ha un radicamento interiore.
Occorre vedere tutti i modi in cui la persona ha preteso di mettere sotto silenzio il suo mondo interiore, piegandolo ad esigenze esterne invece di affidare ad esso la guida della sua vita. E’ proprio dentro questo rapporto che l’interiorità chiede alla persona di guardare, prendendo consapevolezza che c’è tutta una condizione di sofferenza che non dipende da altri, ma dal fatto che questo rapporto non è stato alimentato. L’inconscio vuole portare lo sguardo laddove la parte razionale lo vuole eclissare, dandosi pronto sollievo attraverso spiegazioni che impediscono alla persona di prendere consapevolezza di sé. Questi modi di affrontare il problema, che spesso la persona abbraccia perché la sgravano dall’impegno rispetto a se stessa, non fanno che consolidarla e ricompattarla su posizioni che si sono dimostrate fragili, impedendole di incontrare se stessa e lasciandola in una condizione di passività rispetto al suo malessere. L’interiorità attraverso le manifestazioni del disagio, che la tengono dentro una sofferta percezione di se stessa, la spinge a compiere dei passaggi di consapevolezza, impedendole di sfuggire alla presa di coscienza.
Occorre dunque addentrarsi in questo territorio doloroso in cui ci si sente privi di un legame con se stessi, che finora non è stato alimentato, e in cui si può avvertire tutta l’inquietudine interiore dovuta al venir meno di un aspetto così vitale. L’inquietudine, il senso di vuoto e di fragilità sollevano questa questione fondamentale dell’esistenza e cercano di impegnare la persona nel rapporto con se stessa. E’ proprio stando in contatto con questa inquietudine che ci si può rendere conto della sofferenza creata da tutti i modi in cui la persona si è estraniata da se stessa. L’inconscio non spinge la persona a superare subito questa condizione, come lei è portata a fare, ma le chiede di entrare in contatto con queste emozioni che la disorientano rispetto alla visione che ha sempre avuto di se stessa. La psicoterapia dovrebbe aiutare la persona a stare e a muoversi in questi territori così sofferti e non offrire un pronto sollievo che non consente alla persona di entrare in contatto con le sue emozioni e con quello che le vogliono rivelare. Sono queste capacità di dialogo e di incontro con le espressioni più impegnative della sua vita interiore che è importante alimentare. L’inconscio non vuole “mettere le cose a posto”, rinfrancando la persona nella visione che ha sempre avuto di sé, ma la vuole mettere in discussione mostrandole che è una visione estraniata di se stessa, in cui tutto è stato preso fuori di sé, aderendo a dei modelli comuni, invece che alimentato a partire dalla sua interiorità.
Le fa percepire l’esigenza interiore di un legame con la propria interiorità, laddove la persona, seguendo la visione comune, ha sempre pensato che tutto venisse dalla realtà esterna e che dentro di sé non ci fosse nulla. C’è una visione rigida, che non ha mai concesso nulla alla realtà interiore, di cui è importante che la persona prenda consapevolezza ascoltando i segnali interiori di crisi e di dissenso che la stanno aiutando a metterla in discussione. L’interiorità la porta ad attraversare una crisi in cui le chiede di mettere in discussione tutte le categorie mentali con cui ha avvicinato se stessa, perché non corrispondono a ciò che vuole vivere dentro di lei. E’ importante vivere la crisi, il momento in cui percepisce che quello che aveva creduto un terreno solido in realtà non lo era, in cui percepisce la fragilità del suo essere che ancora non ha radici interiori, in cui vengono a mancare i vecchi punti di riferimento e i nuovi devono ancora essere costruiti. La crisi è un passaggio interiore difficile ma fondamentale perchè la persona ha bisogno di sentire che quello che c’era sta vacillando, di metterlo in discussione, di smontarlo e vederlo cadere. E’ un momento in cui è importante che percepisca che ciò che non ha radici interiori “non può stare sù” perché l’interiorità non lo sostiene anche se continua a poggiare sul consenso generale.
Dentro la crisi non si ha la possibilità di mentire, di fingere o di ignorare il problema, si ha la massima capacità di guardare le cose, la più grande apertura di sguardo. Se si pretende di rimanere in sella, dando pronto soccorso a se stessi nel tentativo di tenere in piedi ciò che vorrebbe cadere, ci si priva della possibilità di qualsiasi trasformazione. E’ proprio nel momento della crisi che un germoglio nuovo comincia ad attecchire, è il terreno più fertile a nostra disposizione. Le trasformazioni psicologiche che portano la persona a ritrovare se stessa seguono questo ciclo di morte e rinascita, non sono delle medicazioni che danno pronto sollievo quando invece è necessario sentire tutto il peso e il dolore di qualcosa di noi che ha bisogno di essere trasformato. L’interiorità non è dunque in un atteggiamento di conferma e di pronto sollievo ma vuole vedere tutto fino in fondo, sottoponendolo al suo sguardo riflessivo, mettendolo in discussione. Non si preoccupa di comunicare verità scomode e non tiene in piedi ciò che non ha un radicamento interiore, dando inquietudine e tormento fino a quando la persona non cerca di comprendere se ciò che sta facendo ha un legame con se stessa o rimane in piedi soltanto perché il senso comune dice che così si deve fare.
La persona vorrebbe che l’interiorità la facesse sentire sicura di modi di vivere, di significati che ha preso all’esterno e si rammarica se ciò non avviene. Pensa che ci sia qualcosa che la limita e la blocca ingiustamente e cerca soluzioni all’insegna della conferma, come se fosse questo sostegno a mancarle, mentre l’interiorità sta cercando di mettere in crisi tutto ciò che non ha basi interiori. E’ fondamentale comprendere che ciò che da dentro la contrasta non la sta squalificando, non le è avverso, ma sta cercando di guardare dentro alle cose, per scoprirne i propri significati e non quelli attribuiti dall’esterno, così da ritrovare il filo della propria esistenza, sentendola finalmente legata a sè. Questa azione di contrasto dell’inconscio è protettiva perché altrimenti la persona rimarrebbe allineata in maniera unidirezionale su delle posizioni rigide che si è data andando dietro i modi comuni di pensare la vita, dandone per scontati i significati, senza mai cercare ciò che profondamente le appartiene. Le sta mostrando la necessità di far maturare le cose a partire dalla sua dimensione interiore. E’ importante che la persona riesca a reggere il contrasto, il confronto con la sua interiorità, ascoltando i segnali di crisi, imparando a comprenderne il senso…