Sintomi: un nemico o un alleato?

Sintomi: un nemico o un alleato?

Un aspetto che ritengo assai critico è l’atteggiamento che la persona assume nei confronti della sua esperienza interiore, perchè spesso esso è improntato a mettere a tacere i sintomi, invece che ad accoglierli e ad ascoltarli. Viene chiuso in modo preconcetto il dialogo con ciò che di sè ha necessità d’essere ascoltato, rifiutandolo, zittendolo, in quanto è una voce scomoda rispetto ai propositi che la persona da sempre persegue, tirando dritto senza mai fermarsi a chiedersi su che cosa si fondano, senza mai domandarsi su che basi ha condotto finora la sua esistenza. E’ un atteggiamento chiuso perchè persegue in modo scontato e acritico ciò viene sostenuto esternamente dal senso comune, senza alcuna apertura al dentro, senza assecondare il richiamo interiore a cercare dentro di sè i significati autentici della propria esistenza per dare vita a un cammino finalmente fatto maturare a partire dalla propria interiorità.

Il sintomo è in primo luogo questo richiamo interiore a ritrovare il contatto con se stessi, a riportare lo sguardo dentro di sè. Il rischio, se si continua a contrastarlo, è quello di rimanere del tutto separati da se stessi proprio nel momento in cui l’interiorità sta lavorando per un riavvicinamento. La visione che comunemente si ha dell’interiorità è estremamente riduttiva e squalifica le espressioni più sofferte della propria vita interiore, i sintomi, come qualcosa di negativo, un inutile ostacolo da eliminare. Si pensa al sintomo come a  qualcosa di ostile, a un nemico che sta penalizzando la persona in maniera del tutto insensata. Il sintomo viene bandito e respinto perché non si adatta alla direzione che la parte razionale  si è data e fa deviare il percorso verso una finalità che non si accorda con le intenzioni coscienti.

Con i sintomi emerge una realtà, quella interiore, che si muove secondo una logica del tutto diversa da quella esterna, che disorienta la razionalità perché non cerca il risultato, la riuscita, anzi la mette in discussione riportando in primo piano il rapporto dell’individuo con la sua interiorità. Ritrovare il contatto con la propria interiorità, con ciò che di più intimo possediamo, radicando ad essa la propria esistenza, è una esigenza profonda del tutto ignorata dalla parte cosciente, che non riesce a vederla e ha bisogno dell’influsso dell’inconscio per poterne prendere coscienza. Il sintomo svolge il compito di portare alla luce questa esigenza tanto vitale e essenziale, quanto occultata e resa marginale dalla parte razionale, pronta a sacrificare  tutto su altari esterni, per dimostrarsi adeguata ai modelli comuni.

 La razionalità  è rigidamente allineata e uniformata ai modi comuni di pensare, a cui aderisce passivamente, per mostrarsi corrispondente al modello che riscuote l’ammirazione generale. Insegue questo modello, cerca di plasmarsi su di esso, perché vuole apparire riuscita, adeguata e non tollera elementi di disturbo che possono incrinare l’immagine che vuole dare di sé. Tende dunque a rifiutare, a eliminare tutte quelle emozioni che, nel sentire sofferto del sintomo, risuonano  in maniera discordante rispetto alle sue attese e alle sue intenzioni, tutte rivolte all’esterno. Li rinnega come cosa disfunzionale perché le fanno perdere terreno rispetto a quel modo comune di concepire l’esistenza che continua a ritenere ideale, in quanto sorretto dal consenso esterno. Il sintomo è ciò che non permette alla persona di funzionare a dovere, intacca quell’immagine di efficienza e adeguatezza che vuole dare di sè. La persona si sente subito inadeguata, sminuita, le sembra di perderci, di rimetterci. Vive la sua esperienza interiore come una sconfitta rispetto a quell’ideale di realizzazione, preso dall’esterno, che si basa sul possesso di determinati requisiti esterni, di cui si sente ingiustamente espropriata dall’esperienza che sta vivendo.  Vede il sintomo come qualcosa che la depriva, che la rende meno valida rispetto a quell’immagine esterna che le appare irrinunciabile e non come la strada che vuole ricondurla a ritrovare di sè un’immagine più autentica e corrispondente alla sua interiorità.

I sintomi sono dunque il  deficit che va corretto per riportarsi in pista, per potersi sentire pari agli altri e non più così sviliti, menomati. La persona li vive come una minaccia, teme di perdere tutto quello che ha e si dispera come se quello che le sta succedendo fosse una disgrazia. Il sintomo viene rifiutato, aggredito come un nemico perché tutta la sua preoccupazione è rivolta al fuori, mentre non dà alcuna importanza al legame con se stessa. In questo modo non riesce a condividere l’intento dell’interiorità che vuole farle comprendere che ha messo davanti a tutto il riuscire all’esterno, l’apparire in un certo modo invece di valorizzare il legame con se stessa, che si è spezzato. L’interiorità vuole farle percepire che questo legame è essenziale, vitale e vuole aiutarla a ricostruirlo.  La persona banalizza come cosa del tutto secondaria quelle emozioni che le fanno percepire questa mancanza di radicamento a sé, mentre teme più di altra cosa perdere il legame con il fuori, che ritiene indispensabile. E’ il terrore, l’angoscia di perdere il riconoscimento esterno di cui ha sempre vissuto e a cui ha legato il senso di se stessa. Vive solo questo allarme e non capisce che i segnali interiori le stanno mostrando ben altra minaccia, la perdita del legame con se stessa.

L’allarme che prova all’idea di perdere l’immagine che ha sempre avuto di sè non è casuale ma rivela il vincolo di dipendenza dal giudizio esterno, il fatto di aver costruito il senso di sè non su delle basi interiori ma appoggiandosi al consenso esterno. Questo legame di dipendenza si traduce in un vincolo, in un limite nel non poter vedere delle parti di sè che la persona non ritiene congrue con l’immagine che vuole dare agli altri. Il vincolo di dipendenza, il non poter perdere l’appoggio su cui la persona si è sempre sorretta, le impediscono il confronto con se stessa, l’apertura al proprio mondo interiore. C’è una idea rigida di se stessa che la persona ha costruito in modo dipendente sui modi comuni di pensare che non riesce a mettere in discussione. Anche l’atteggiamento di chiusura nei confronti del proprio mondo interiore rivela il modo dipendente con cui la persona ha costruito la sua vita perchè è un atteggiamento rigido, preconcetto, si basa su dei postulati esterni che la persona ha preso passivamente su di sè senza mai verificarli. C’è un pregiudizio di fondo che ha già stabilito quale deve essere la direzione che si deve imboccare e non concede nulla ad altro. La persona non sta vivendo per come desidera essere, ma per come deve essere secondo quello che esternamente viene detto essere “corretto” e non riesce più a mettere in discussione le basi su cui ha costruito la sua vita perchè ormai ne dipende. La persona assume pertanto una posizione aprioristica che è rivelatrice di questo modo dipendente di vivere che diventa limite, chiusura. C’è un cammino prefissato che dice alla persona dove deve andare e lei si limita a inseguirlo dando tutto per scontato, senza mai chiedersi se davvero le corrisponde o lo ha semplicemente preso dall’esterno per corrispondere al modello che riscuote il consenso generale. In questo modo diventa inevitabile perdere la propria strada, smarrendo il senso di se stessi, della propria vita, nell’inseguimento di modelli estranei alla propria interiorità.

Questo è un aspetto centrale attorno a cui ruota l’elaborazione dell’inconscio, come è possibile vedere attraverso i sogni, ma che è del tutto sottovalutato quando ci si occupa del disagio psicologico. Ci si esprime solo in termini di riuscita, di funzionamento andando dietro alla parte cosciente, come se quello fosse il problema. L’interiorità pone il problema in altri termini, sconosciuti alla parte razionale. Parla di soggezione ai modelli comuni, di autonomia, di emancipazione e spinge vigorosamente dall’interno perché questo cammino si realizzi. C’è un problema che è tutto interno all’individuo, al suo modo di essere attaccato in maniera dipendente ai canoni collettivi e slegato dal suo mondo interiore, che ha sempre sottovalutato. L’interiorità sa perfettamente dov’è il problema e lo sottolinea attraverso il sentire, rimarcando quegli stati d’animo che segnalano questa condizione di dipendenza. Questa capacità di guardare le cose, di rivelarle, è propria della parte profonda. E’ cruciale dunque che il lavoro analitico si sposti nel piano profondo, valorizzando le espressioni più sofferte della vita interiore come quelle capaci di restituire uno sguardo autentico su se stessi e sulla propria vita. L’intento interiore è sempre costruttivo, finalizzato a dar vita al proprio progetto, pertanto è importante comprendere qual è la finalità del sintomo, perché in esso è già racchiusa e contenuta la cura. Combattere il sintomo, mettendolo malamente a tacere nell’ottica della correzione, significa intralciare questa iniziativa interiore, impedendo alla persona di fare un movimento in direzione della sua crescita e della sua autonomia. E’ fondamentale che la terapia sappia assecondare queste spinte interiori vitali, seguendo quel sentiero tortuoso e sofferto tracciato dal sintomo, che vuole condurre la persona a ritrovare l’unità con se stessa in un progetto che finalmente le corrisponda profondamente…

 


 

 

 

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