Personalmente ritengo che il compito della psicoterapia sia quello di riportare in primo piano ciò che la persona considera irrilevante e di poco valore, le sue emozioni, la sua dimensione profonda. La persona è abituata ad affidarsi esclusivamente alla sfera razionale, avvicina tutto ciò che le accade con il ragionamento, che le appare come l’unica strategia possibile. Le emozioni vengono sottovalutate perché ritenute meno affidabili della ragione, a cui viene attribuita l’esclusività del pensiero. La psicoterapia dovrebbe far scoprire che dentro di sé esiste un’intelligenza viva, quella dell’inconscio, dotata di capacità riflessiva e che le emozioni sono l’espressione di questa incessante elaborazione.
Le emozioni vengono tacciate di essere “irrazionali”, invece rappresentano la propria intelligenza più acuta e fine. Tutto ciò che si muove dentro di sé, i propri stati interiori, anche quando assumono la forma della sofferenza interiore, sono estremamente intelligenti, rappresentano la parte di sé più affidabile e lungimirante che vuole condurre la persona a comprendersi autenticamente. Le emozioni, in tutte le loro manifestazioni, anche le più difficili, diventano degli strumenti terapeutici essenziali perché permettono l’accesso al profondo, restituendo alla persona una consapevolezza vera, fedele a ciò che vive dentro di lei. Il passaggio dal piano razionale a quello profondo, che l’ascolto delle emozioni e dei sogni consente di compiere, è fondamentale affinchè la persona possa maturare un pensiero corrispondente al suo sentire e non da esso slegato. Finchè il pensiero rimane ancorato al piano della razionalità continua ad attribuire alla realtà interiore dei significati che non le sono propri, non consentendo di avvicinarla.
Il pensiero razionale, a cui la persona si affida, prende i significati dall’esterno e quindi è poco consapevole perché quello che ritiene di sapere è ciò che viene affermato esternamente dal senso comune e non ha un’origine interiore. La parte razionale si illude di avere costruito una consapevolezza, mentre tiene la persona in una condizione di passività, in cui si adegua a dei significati esterni senza comprendere ciò che ha dentro di sé, che le rimane del tutto sconosciuto. Le emozioni sono delle spinte interiori che vogliono far uscire dalla condizione di non sapere e non vedere che caratterizza lo stato della coscienza fusa con il pensiero esterno e priva di un radicamento interiore.
La persona insegue questa condizione rasserenante di simbiosi con i modi comuni di pensare e di vivere, che sembra averle fornito tutte le risposte all’esistenza, ma che impedisce qualsiasi sviluppo della sua personalità, a partire dal suo pensiero che rimane immaturo, stereotipato, dipendente dall’esterno. Le emozioni vengono tacciate di essere ostili perché rompono la simbiosi, turbano questo equilibrio della parte razionale. Diventano il nemico giurato da dover contrastare, in un atteggiamento sempre più rigido nei confronti di ciò che da dentro vuole sollevare il problema di un cammino di vita non sorretto da una reale comprensione di se stessi ma basato sull’assunzione passiva di modi di vivere esterni. Se ne parla in termini svalutativi, come di una “emotività” che ostacola la razionalità, non consentendole lucidità, efficienza. Le emozioni vengono guardate con diffidenza perché rendono tortuosi i percorsi interiori, disagevoli per una razionalità più preoccupata di stare al passo con ciò che viene affermato esternamente che impegnata a guardare dentro alle cose per formare una consapevolezza autentica.
La persona finchè rimane ferma nel piano razionale continua a ribadirsi i soliti ragionamenti, senza vedere nulla. E’ un pensiero che non genera consapevolezza ma ripete dei preconcetti sull’esistenza presi esternamente, che allontanano sempre di più la persona dalla possibilità di riavvicinarsi a se stessa. Le emozioni creano disturbo alla parte razionale perché non sono finalizzate a far quadrare questi ragionamenti, a chiudere il discorso, bensì a rivelare, a far comprendere, a far vedere. I vissuti emotivi disagevoli d’ansia, di fragilità e le altre emozioni sofferte complicano le cose, ostacolano, rendono impervio il tragitto perché vogliono consentire alla persona di raggiungere una comprensione vera di se stessa, laddove la razionalità ha già definito tutto seconde dei principi predefiniti, catalogando la sua esperienza interiore dentro un discorso chiuso. La persona continua a credere che le emozioni le tolgano lucidità, in realtà sono la parte di lei che più desidera vedere con chiarezza le cose, aiutandola a far luce, illuminandone il cammino. Mettendo a tacere le emozioni si spegne questa luce di consapevolezza che sta cercando di fornire un orientamento essenziale affinchè la persona possa ritrovarsi. Si rimane nell’incomprensione rispetto al proprio mondo interiore, da cui ci si allontana sempre di più. Invece se questi vissuti sofferti vengono ben avvicinati nel corso del percorso analitico si può scoprire come rappresentino la fonte del pensiero più lucido su se stessi e come siano capaci di fornire finalmente una guida affidabile.
La razionalità, preoccupata solo del dirsi giusta e conforme ai modelli esterni, tiene la persona in una condizione di cecità psicologica, dove niente viene visto al di là di ciò che viene affermato esternamente dal senso comune. La persona continua a muoversi in questa cecità, senza visione e guida propria. Confida esclusivamente nella sua parte razionale, nella quale identifica il pensiero, e così facendo continua a muoversi in modo confuso, senza consapevolezza, andando più dietro ad altro che aderendo a se stessa. In questo procedere in linea retta secondo le direttive della sua razionalità c’è la mancanza di comprensione vera, ci si muove a tentoni, nella totale oscurità. E’ un movimento malcerto, in cui niente risulta veramente avvicinato e compreso, tutto viene spiegato secondo la logica esterna. Si fa così sentire dentro di lei un bisogno estremo di fondare la sua vita su una comprensione vera, su un pensiero fatto maturare a partire da sé, dal proprio sentire. C’è qualcosa dentro di lei che spinge affinchè maturi questa consapevolezza e che la impegna con delle esperienze interiori difficili, ma capaci di restituirle un pensiero finalmente coerente con se stessa. Si è lontani dal pensare che proprio in questo sentire così tormentato vi sia il seme da cui può maturare un’autentica comprensione di se stessi. Si ignora così che negli stati interiori di disagio vi sia racchiusa una capacità riflessiva, trasformativa. Generalmente dentro questi vissuti viene vista solo una alterazione, una disfunzione che si pretende risolvere con l’uso della razionalità.
La psicoterapia dovrebbe aiutare la persona a comprendere che è proprio attraverso il suo sentire, in tutte le sue espressioni, anche le più difficili e sofferte, che può finalmente conoscersi e comprendere quali sono le questioni decisive della sua esistenza. Queste espressioni della sua vita interiore sono tutt’altro che un deficit o una disfunzione ma rappresentano la sua “capacità” di formare un pensiero e una consapevolezza autentica. Sono capaci di guidare la persona, facendola finalmente camminare su un terreno solido, perché radicato interiormente. Se grazie alla psicoterapia si impara ad ascoltare le proprie emozione si potrà capire quanto siano lucide, mirate, capaci di andare ad illuminare il punto preciso che è necessario vedere e comprendere di se stessi e della propria vita. Occorre certo prendere familiarità con il mondo interiore, con il suo linguaggio non così immediato come quello razionale. La psicoterapia dovrebbe servire a far comprendere che proprio dove sembra esserci solo qualcosa di insensato in realtà si celano dei significati, dei contenuti profondi che vanno esplorati e compresi. In questo modo può diventare lo strumento per restituire senso e significatività alla propria esperienza interiore e divenire terapeutica…