La trappola dell’idea di perfezione

La trappola dell’idea di perfezione

L’idea della perfezione è insidiosa perché viene collegata al fare bene le cose, al mettere il massimo impegno in ciò che si fa non accontentandosi di risultati approssimativi e superficiali. A prima vista ha in sé l’idea dell’impegno, del miglioramento. Facilmente si può rimanere intrappolati dentro questa idea proprio perché si teme che metterla in discussione significhi rinunciare al far bene le cose, al migliorarsi. Si usa questo termine pensando che racchiuda l’idea del meglio, dell’eccellenza, ma senza chiedersi cos’è questo “meglio”, cos’è questa “eccellenza”, cosa significano, a cosa corrispondono. Difficilmente si cerca di guardare dentro quest’ideale di perfezione, di verificare di cosa realmente si tratta. Si rimane legati all’idea che la perfezione racchiuda le caratteristiche migliori, il meglio che si possa raggiungere. Tutt’al più si mette in discussione un atteggiamento eccessivamente “perfezionista” teso al raggiungimento di standard troppo elevati senza però andare oltre nella comprensione di cosa sia questo ideale che si cerca di raggiungere. Si riduce la questione all’idea di star eccedendo nel chiedere a se stessi di raggiungere una meta inarrivabile. L’idea che quella meta rappresenti il “massimo” non viene però mai guardata con senso critico e così la persona vi rimane legata, ingabbiata, credendo di star cercando di dare il meglio di sé.

Il rischio è che la persona si limiti ad allentare la tensione per sovraccaricarsi di meno senza però comprendere i significati  profondi circa le proprie aspirazioni dandosi la possibilità di recuperare i significati intimi e originari di cos’è far bene e migliorarsi. La questione viene in questo modo ad essere ridotta e semplificata  a un generico appello a “stressarsi di meno” che la persona rivolge a se stessa nei momenti in cui la richiesta di essere perfetta diventa insostenibile. I segnali interiori di disagio come l’ansia, lo stato di tensione, la mancanza di vitalità vogliono invece impegnare profondamente la persona su se stessa affinchè prenda consapevolezza di tutto un modo passivo di rincorrere ed emulare dei modelli ritenuti perfetti. Se la persona non guarda profondamente dentro questa idea di perfezione rischia di rimanere del tutto inconsapevole di come stia assumendo su di sè un’idea di valore in modo completamente passivo, dandola per scontata. E’ infatti importante che la persona comprenda che questa ricerca della perfezione che la porta a esagerare, talvolta sfinendosi, come può avvenire in ambito scolastico o lavorativo, è il frutto di un suo assoggettamento a delle idee comuni sul valore personale, la bravura, il merito.  L’idea della perfezione si rivela una gabbia mentale proprio perché la persona lascia che siano degli standard esterni a stabilire qual’ è il suo valore invece di aver maturato un suo pensiero, libero da tali condizionamenti.

Questa perfezione, questo “meglio”, spesso non ha alcuna corrispondenza con qualcosa di interiore, di proprio, ma è ciò che esternamente è stato stabilito essere il “top”, la vetta da dover raggiungere. E’ un ideale esterno e la spinta a raggiungere questa cima è un movimento del tutto passivo, un mero inseguimento di idee esterne, idealizzate, mistificate. Si costruiscono così dei miti del valore e dell’eccellenza, tenuti in piedi dal senso comune che gli conferisce quest’aura di perfezione, li consacra.  Questo ideale di valore viene elevato, reso sacro dal senso comune e la persona lo insegue come se fosse la sua massima aspirazione. La perfezione è l’apice di questa consacrazione, il rispecchiare a pieno ciò che il senso comune innalza a paradigma esemplare di vita. E’ dunque un ideale che è stato innalzato a “modello” dall’esterno e non una aspirazione interiore che ha preso forma dentro di sè. Le aspirazioni interiori vengono anzi minacciate da questo atteggiamento che porta la persona ad uniformarsi a queste idee di valore invece di comprendere ciò che vale per lei, impegnandosi a scoprirlo dentro di sè. La persona subisce integralmente questi criteri esterni, si valuta attraverso di essi e cerca di migliorarsi, di perfezionarsi su queste basi, perdendo il legame con la sua autentica crescita, arrivando a minacciarla. La persona rischia di venir meno al suo sviluppo ma spesso non lo riconosce a livello razionale perché continua a prevalere in lei l’idea mistificata della perfezione che non le permette di vedere che nel tentativo di raggiungere quella  vetta, la così detta perfezione,  il suo potenziale umano sta in realtà soffrendo. Soffre il suo potenziale umano, soffre le sua vera aspirazione che è cosa bene diversa dal dover raggiungere la vetta tenuta in auge dall’esterno. L’aspirazione interiore è qualcosa che nasce da dentro e vuole raggiungere il suo pieno sviluppo portando alla massima espressione ciò che vive dentro di sé. E’ un far crescere quello che si ha dentro consentendo che si sviluppi al meglio, in tutte le sue potenzialità. E’ ben diverso dal cercare di raggiungere la perfezione che invece è il tentativo di portarsi in alto riuscendo a rappresentare al meglio il modello ritenuto, dai più, il migliore.

Questa ricerca della perfezione non fa che alimentare la dipendenza dalle idee comuni e ciò spiega perché  il senso del proprio valore venga sempre più condizionato ai soli risultati ottenuti, alla resa, al rendimento. La persona definisce se stessa negli angusti e limitati termini dei voti, delle graduatorie, dei risultati, perdendo completamente il senso del suo valore sostanziale. Ecco che lo studente che vuole essere perfetto deve avere tutti i voti alti, come se questi decretassero il suo valore o  deve essere il primo in ogni graduatoria, superando tutti gli altri. L’idea della perfezione viene così a corrispondere all’essere “il migliore”, il più bravo a scuola, nel lavoro o nell’avere la vita considerata perfetta. Di qui il continuo tentativo di superamento dell’altro, di “svettare” su tutti a qualunque costo. In non pochi casi, come ho potuto osservare nel corso del mio lavoro come psicoterapeuta, la ricerca della perfezione si riduce a questo dover primeggiare su tutti. In questo modo il senso del proprio migliorarsi viene ad essere completamente svuotato dei suoi significati interiori, originari.

Un altro aspetto che merita di essere approfondito è la perfezione intesa come l’assenza d’errore. L’errore secondo questa idea di perfezione viene visto solo come un deficit, una mancanza e non come un passaggio fondamentale per la propria crescita. Viene persa in tal modo tutta l’idea della progressione, della gradualità,  del lento formarsi di qualcosa passando anche attraverso passaggi complicati, niente affatto lineari. Si rischia inoltre di cadere in una eccessiva “standardizzazione” visto che le cose devono essere fatte in quell’unico modo definito corretto e tutto ciò che non si inquadra in quello standard viene squalificato come se fosse manchevole. In realtà in quel presunto difetto ci potrebbe essere qualcosa di proprio, uno sviluppo personale, ma in tal modo viene bandito perché non rientra nell’unico modo ritenuto perfetto. Una visione estremamente rigida che non considera più la soggettività, il modo personale di poter pensare e realizzare qualcosa, ma appiattisce e inquadra tutto dentro uno standard. La perfezione rischia dunque di diventare qualcosa di omologante, impersonale, anonimo che penalizza ogni espressione soggettiva, propria, libera. Diventa una linea squadrata, sterile, senza possibilità di scoperta e maturazione. Occorre dunque essere disposti ad approfondire questa idea di perfezione senza semplificazioni per  vedere tutte le implicazioni che in essa sono racchiuse, recuperando al contempo il senso più intimo e fertile del proprio miglioramento…

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