Raccolgo qui delle riflessioni sull’aggressività basandomi su alcune osservazioni che ho potuto fare nella mia pratica di psicoterapeuta, senza pretendere di essere esaustiva su questo argomento, che richiede ogni volta di confrontarsi con l’aspetto originale di ogni situazione. Sono riflessioni che vogliono aiutare a fare chiarezza sulla natura dell’inconscio, una realtà tanto presente e attiva dentro di noi quanto fraintesa nelle sue reali finalità. L’inconscio è dotato di una notevole capacità riflessiva, che però non gli viene riconosciuta, perché si è sempre preferito vederlo come una parte primitiva, preda di istinti e pulsioni incontrollate. Viene generalmente descritto come qualcosa di minaccioso, in cui regnano il caos e l’irrazionalità, in contrapposizione alla sfera mentale, depositaria della “ragione”, capace di operare lucidamente. La sfera mentale sarebbe dunque la parte evoluta e affidabile, mentre l’inconscio quella primitiva, immatura e inaffidabile. In realtà l’inconscio è molto distante da questa descrizione perché ciò che lo caratterizza non è una natura impulsiva bensì estremamente riflessiva. L’uomo può guardarsi nella propria condizione psicologica, rendendosi conto di alcuni aspetti di sé, come il modo in cui entra in rapporto con se stesso, il modo in cui pensa e dirige la sua esistenza, che possono essere problematici, fino a portarlo a soffrire psicologicamente. Questo guardare dentro il suo stato psicologico, imparando a riconoscere come parte di sé quello che gli sta succedendo, gli permette di affrontare il suo disagio senza più rimanere all’oscuro di se stesso, in balia di parti di sé che non ha elaborato, preferendo vedere sempre il problema come esterno.
L’inconscio rappresenta questo punto da cui potersi guardare, portando la riflessione su di sé. L’inconscio è proprio ciò che impegna la persona a rendersi conto e a farsi carico di ogni parte di sé, anche quando si tratta di aspetti di sé e della propria vita problematici e spiacevoli da dirsi. L’inconscio chiede alla persona di prendersi la responsabilità di se stessa attraverso la riflessione e la consapevolezza, per farla maturare nella direzione della sua autonomia. E’ dunque tutto fuorchè qualcosa di caotico o impulsivo, come preferisce dipingerlo la mente con l’unico scopo di esercitare un controllo su una forza che, è tanto lucida e matura, quanto è scomoda, per una mente che non vuole riconoscere e portare nel campo di coscienza ciò che è spiacevole vedere di sé. La mente ragiona più per allontanare da sé ciò che le è scomodo e indesiderato riconoscere, che per riflettere e elaborare. Tende dunque a disfarsi di tutto ciò che le è spiacevole guardare, separandolo da sé e scaricandolo all’esterno. Spesso la persona invece di vedere su di sé, riflessivamente, delle parti scomode, le deposita sull’altro e le aggredisce fuori. Vede quella parte indesiderata di sé nell’altro, a volte a torto, a volte a ragione, ma mai riflessivamente, cercando di capire che cosa l’altro le permette di vedere di se stessa. In quest’ultimo caso è frequente che la persona viva con estremo fastidio un aspetto dell’altro, però non riesce a vedere che quella parte è anche sua o che sta toccando qualcosa di suo e così finisce per aggredire l’altro, senza mai portare la riflessione su se stessa.
Si tratta di un atto mentale evacuativo e purificatorio, in cui la mente espellendo queste parti di sé spiacevoli tende a idealizzare se stessa vedendosi innocente e pura mentre tutto il negativo viene portato fuori. La mente in quest’atto liberatorio, di pulizia autoidealizzante, si impoverisce, perché si svuota di informazioni che le consentirebbero di capire delle cose di cui ha bisogno di prendere consapevolezza per maturare, per evolvere. Buttando fuori queste parti spiacevoli di sé e gli stati interiori di inquietudine che li accompagnano, si indebolisce, perché non riesce a trattenere su di sé questi contenuti emotivi il tempo necessario affinchè vengano elaborati, compresi e trasformati in guide di pensiero per riuscire successivamente ad affrontare in modo sempre più attento quell’aspetto problematico di sè, che a quel punto si ripresenterà con maggior forza visto che non c’è stata una elaborazione sufficiente a dare una risposta adeguata. La mente diventa sempre più incapace di tollerare delle frustrazioni, di tenere su di sé delle tensioni emotive, di reggerle, mentre le modalità espulsive finiscono per diventare sempre meno controllabili, fino al vomitare tutto fuori sull’altro. La persona crede che quel modo liberatorio sia favorevole a se stessa, come se fosse protettivo della propria autostima, come se comunicarsi verità scomode fosse lesivo della stessa. La propria autostima, in realtà, si indebolisce, perché quell’atto di pulizia mentale non è fertile, non fa cresce e non fa maturare nulla. Si tratta sostanzialmente di un atto inutile che, come tale, genera un senso di fallimento interno, rispetto a un’elaborazione che, seppur dolorosa, permette di costruire delle guide di pensiero autonomo, perché maturate dall’intima esperienza di se stessi, dando così delle strutture solide alla mente, quelle sì veramente protettive. Questo atteggiamento mentale, di apparente sollievo liberatorio, impedendo alla persona di conoscere ciò che ha bisogno di conoscere di se stessa e di sviluppare la capacità di entrare in rapporto con i suoi stati interiori, indebolisce il suo pensiero e ciò non fa che alimentare un senso di frustrazione e di sfiducia. E’ un’autostima che diventa sempre più debole anche perché la persona riesce sempre meno a tollerare le proprie “imperfezioni”, le teme, non riesce ad utilizzarle come risorse per crescere.
Un altro atteggiamento molto frequente che la persona utilizza per non farsi carico di parti spiacevoli di sè, deresponsabilizzandosi, è quello di cercare “il cattivo fuori” ,da odiare, perché ritenuto il colpevole di tutta la sua sofferenza. Anche in questo caso la persona ha un’immagine idealizzata di se stessa come “tutta buona e innocente”, senza consapevolezza delle sue parti problematiche, che non vengono mai considerate, perché lo sguardo viene spostato sempre fuori, sull’altro, che sarebbe il colpevole di tutto ciò che di disagevole vive. Tutto viene riferito all’altro, non viene sollevata nessuna questione relativa al modo in cui la persona ha costruito la propria vita, al rapporto che ha con se stessa. La persona è alla ricerca continua della giustificazione, del pungiball da colpire e su cui scaricare un malessere che ha origine per altri motivi, quali il non aver costruito un rapporto con se stessa, con tutte le pesanti ripercussioni psicologiche che questo stato di divisione interna ha comportato sulla sua esistenza. Si tratta di atteggiamenti mentali immaturi da un punto di vista psicologico perché non favoriscono l’introspezione quanto invece l’espulsione e la proiezione al fuori. La mente agisce spesso in questo modo, non così evoluto come comunemente si pensa, mentre l’inconscio, che viene tacciato d’essere la parte primitiva, favorisce un atteggiamento completamente diverso. Se la mente scarica fuori e si sbarazza malamente delle parti di sé ritenute spiacevoli, l’inconscio vuole elaborarle, integrarle e dunque fa tutto un lavoro riflessivo affinchè la mente possa prendere contatto con questi contenuti che le sono necessari per costruire pensiero, per strutturarsi sempre meglio. L’inconscio fa dunque il movimento opposto, invece di espellere, fa prendere contatto, invece di scaricare addosso agli altri, cercando sempre la causa del proprio malessere all’esterno, cerca di favorire il confronto della persona con se stessa sui temi fondamentali della sua vita. L’interiorità vuol far compiere questo movimento riflessivo per sciogliere quei nodi che hanno portato la persona ad allontanarsi da se stessa, creando distacco e dunque sofferenza. L’inconscio rimette al centro il rapporto della persona con la sua interiorità, mentre la persona è abituata a investire l’altro di questioni esistenziali che sono sue e lo investe proprio nel momento in cui si sta aprendo dentro di lei una “crisi personale” che vuole consentirle di riprendere il contatto con se stessa. L’inconscio è dunque tutt’altro che una forza primitiva e poco evoluta, anzi è la risorsa indispensabile per sviluppare un atteggiamento più maturo e consapevole di sé…