Attualmente si parla spesso di autostima, è un problema molto sentito dalle persone. Questo è un segnale di quanto siamo distanti dalla realtà interiore e, così facendo, manchiamo di un riferimento interno capace di darci un senso di sicurezza personale. La tendenza generale però, di fronte a questa percezione di fragilità interna, è quella di cercare delle soluzioni superficiali, basate sull’autoconvinzione, sul tentativo di “tirarsi sù”, cercando di convincersi del proprio valore. C’è un’idea molto muscolare dell’autostima, e con questo intendo l’atteggiamento di chi è teso a dover dimostrare, a dar prova di sé, a far vedere di essere capace e riuscito, invece di essere impegnato interiormente a ricercare la forza del legame con se stesso. La persona pensa che il suo problema sia quello di non sentirsi all’altezza, ma in realtà è dentro una condizione di dipendenza, alimentata dall’essere tutta rivolta all’esterno, tesa a dover dimostrare di valere secondo quanto stabilito dai modi comuni di pensare. La persona è preoccupata di quello che gli altri pensano e vedono di lei e vuole far vedere di essere adeguata ad un modello, che il senso comune e l’approvazione generale ritengono essere di valore. Sta inseguendo l’immagine che riceve l’approvazione esterna e si preoccupa se non le corrisponde.
La nostra parte razionale egoica, si sente forte nell’ottenere il riconoscimento esterno e fonda su questo il senso del suo valore. In questa apparente forza c’è una dipendenza assoluta dai modi comuni di pensare, la persona aderisce passivamente a ciò che è stabilito essere un valore per ottenere l’approvazione esterna. In primo luogo occorre dunque essere disponibili a riconoscere e a vedere su di sé questa tendenza ad aderire ai modi comuni di pensare, ad inseguirli e a dargli voce per stare nel consenso generale. Abbiamo questa tendenza ad andare dietro a quello che viene sostenuto dal senso comune, a muoverci sulla scia del consenso. La parte razionale continua a spingere sull’adeguamento ai modelli esterni, cerca di rafforzare il legame e l’adesione ai modi comuni di pensare invece che l’intesa con l’interiorità. La parte profonda mette in rilievo, attraverso il sentire, che in questo modo la persona diventa sempre più dipendente dal giudizio esterno, ne mostra tutta la fragilità.
Adeguarsi significa aderire ai modi comuni di pensare e non avere un proprio sguardo sulle cose, diventare sempre più dipendenti dall’idea generale di “come si debba essere” e di “cosa si debba fare”. L’interiorità cerca di fare percepire alla persona questa dipendenza attraverso il timore dello sguardo dell’altro, a cui ha consegnato il senso del proprio valore. E’ l’altro che le dice che cosa vale o meno, in base a dei criteri esterni. E’ proprio ascoltando la sua interiorità che potrà comprendere qual è il problema, perché il suo sentire le fa percepire che il nodo in cui si sta dibattendo è quello di una scarsa autonomia, di una dipendenza dall’esterno. Parliamo di bassa autostima, ma dovremmo parlare di bassa autonomia. Il sentire le manda dei segnali: la fa vacillare, le dà un senso di fragilità interna, può dar luogo a manifestazioni ansiose. In questo modo le fa percepire che non ha ancora sviluppato delle radici interiori, essendosi sempre appoggiata sul senso comune. E’ dunque priva di un riferimento interno capace di sostenerla, per cui vacilla. Non avendo ancora un legame con la propria interiorità, non ha un’unità con se stessa, una integrità del suo essere, per cui è in balia dell’esterno, di cui ha timore.
E’ proprio su questa mancanza di unità col suo essere che dovrebbe lavorare, invece di perpetuare la scissione con se stessa cercando di aderire a qualcosa d’esterno, per riceverne l’approvazione. La tendenza generale però è quella di non voler interrompere la corsa al dover dimostrare, per non perdere terreno rispetto agli altri e, così facendo, questi segnali interiori vengono vissuti come qualcosa di negativo, un ostacolo di cui sbarazzarsi. Ma l’intento dell’interiorità non è quello di dare prova di sè, ma quello di condurci in un cammino di crescita, di autonomia, affinchè la persona possa sviluppare un proprio pensiero, una propria visione delle cose, rendendosi autonoma dai modi comuni di pensare. Pertanto solleva il problema dell’autonomia, lo mette in evidenza attraverso il sentire e, così facendo, permette alla persona di riconoscerlo. In questo modo svolge una funzione protettiva: lasciare andare avanti disinvoltamente la persona, come lei auspica, sarebbe controproducente, perché ancora non sta andando nella propria direzione, ma si fa portare dall’esterno. Ha bisogno di fermarsi e di guardare dentro questa passività, che le fa prendere su di sé dei significati dall’esterno invece di cercare il significato che ogni cosa ha per lei. Insegue degli obiettivi, dandoli per scontati, soltanto perché ricevono l’avvallo generale, senza mai chiedersi che cosa rappresentano per lei.
La persona, fino a quando non sviluppa un suo pensiero, tende a fondare il senso del proprio valore personale fuori di sé, su fattori esterni, sull’adeguamento a dei modelli ritenuti vincenti. Secondo questa mentalità “si vale” se si possiedono determinati requisiti, predefiniti, standardizzati, le attestazioni che la persona si preoccupa continuamente di esibire per non sentirsi da meno rispetto agli altri. Subisce l’autorità anonima del senso comune, da cui si fa dire il proprio valore. Così facendo la persona continua a valutare se stessa sulla base di metri di misura esterni, conosce bene i modi comuni di valutare le cose e li applica a sé. Finchè rimane in questo atteggiamento, lasciando che sia l’esterno a stabilire cosa vale o meno, non potrà che indebolirsi. Non corrispondere a questi modelli la fa sentire sminuita, inadeguata, con poco valore. Spesso si spinge ancora di più nella direzione dell’adeguamento, credendo così di trovare la sua forza. Ma questa è una “illusione” di forza, che poggia sull’approvazione, sul consenso e non sull’intesa profonda con se stessi. Si tratta dunque di passività, come dimostrato dal fatto che la persona crolla, si sente distrutta, non appena vien meno l’approvazione. E’ la schiavitù psicologica dell’individuo che non ha mai trovato se stesso, perché non si è mai cercato, e si “fa forte” nel seguire dei percorsi predeterminati, che gli danno consenso. La persona può cominciare a creare un’intesa con se stessa soltanto se comincia ad ascoltare questi segnali interiori, sofferti, che cercano di farle riconoscere questo suo patire lo sguardo comune, il suo esserne dipendente. In questo patire c’è una iniziale unione con il suo sentire, con il profondo, che la vuole portare a vedere questa condizione di dipendenza, per condurla a sviluppare un suo pensiero, un suo sguardo sulle cose.
La disponibilità a guardare fino in fondo dentro questa passività è il momento iniziale per una reale autonomia. Guardarla significa rendersi conto di quanto ci siamo appoggiati su delle basi esterne, che ricevono il plauso generale, sostenendoci e costruendo su di esse, invece che su delle radici interiori. E’ importante non mettere a tacere con soluzioni superficiali i segnali interiori che cercano di far percepire questa assenza di radicamento, di legame con sé, perché sono un richiamo a riprendere il filo di un rapporto perduto. E’ un legame che la persona ha spezzato, anteponendo a tutto l’aderire a qualcosa d’esterno. Questo distacco da se stessa non è privo di conseguenze e l’interiorità offre la possibilità di percepire questa condizione esistenziale nella propria fragilità, nel senso di vuoto e di mancanza. E’ importante che il sentire venga rispettato così com’è, senza forzarlo in altre direzioni attraverso le autoconvinzioni, perché sta cercando di impegnare la persona nel rapporto con se stessa. E’ il dolore di questa assenza che può farle comprendere, ascoltandolo, che manca di qualcosa di proprio e soltanto entrando in rapporto con l’interiorità potrà svilupparlo. Sono proprio questi stati interiori difficili, che la razionalità tratta come inutili prodotti di scarto di cui deve sbarazzarsi, ad essere essenziali per ristabilire il contatto con la propria interiorità. E’ proprio su questo legame con il profondo che dovrebbe fondarsi l’autostima come ho descritto nell’articolo “Autostima: una conquista?” per chi desideri un ulteriore approfondimento.