Autostima: una conquista?

Autostima: una conquista?

Le persone pensano all’autostima come a qualcosa di connaturato e non come a qualcosa che va fatto crescere sviluppando la capacità di entrare in rapporto con l’interiorità. L’autostima si alimenta coltivando il rapporto con l’interiorità, facendolo vivere. E’ in questo legame con la propria dimensione interiore, nel radicamento al profondo. Le persone pertanto faticano a comprendere che il distacco dalla dimensione interiore ha creato una rottura profonda dentro se stesse, lasciandole senza radici, senza sostegno. E’ come una persona che manca di una parte di sé, che ha trascurato e pretende di stare in piedi e di muoversi.

Occorre rendersi conto che ci siamo dimenticati della dimensione interiore, l’inconscio è una forza viva che non viene generalmente considerata. Il nodo cruciale sta proprio nel misconoscimento di questa intelligenza dentro di noi, dimenticata, messa a tacere. Rimaniamo del tutto slegati dalla nostra interiorità, che tacitiamo invece di valorizzare, ci trattiamo come se non avessimo dentro nulla. E’ l’assenza, la perdita di legame con il profondo su cui dovremmo lavorare per recuperare la stima, il valore di noi stessi. E’ la nostra parte profonda quella capace di una reale autodeterminazione perché non assume nulla in modo passivo dall’esterno, ma genera tutto dall’interno, autonomamente. Rappresenta la nostra possibilità d’essere individui autonomi, di fondare la nostra autostima su basi interiori, solide. Finchè la persona si muove esclusivamente nel piano razionale tenderà a rimanere in un rapporto di dipendenza dai modi comuni di pensare perchè la parte cosciente tende ad aderire passivamente ad essi. In questo modo continuerà a far dipendere il senso di se stessa e del suo valore da quanto sostenuto esternamente dal senso comune, senza alcuna autonomia di sguardo e di visione delle cose. E’ proprio questa dipendenza dall’esterno che l’interiorità cerca di sottolineare attraverso il suo stato di fragilità, di cui va pertanto compreso l’intento costruttivo, volto a favorire un maggiore radicamento a sè. (Di questa dipendenza dai modi comuni di pensare ho ampiamente parlato nell’articolo “Bassa autostima o bassa autonomia?”)

L’autostima non è un diritto connaturato né un bagaglio dato nell’infanzia, come tante teorie presumono stabilire, ma è una capacità che si sviluppa facendo crescere il rapporto con noi stessi, attraverso il dialogo con l’interiorità. E’ un rapporto che va nutrito, fatto crescere, altrimenti, inevitabilmente, la persona continuerà a seguire passivamente un riferimento esterno, invece di scoprire che ne possiede uno interno, l’inconscio, capace di guidarla. Rimarrà nel dominio della sfera razionale, che è tutta rivolta all’esterno. L’interiorità le manda dei segnali per farle percepire che non si sta cercando interiormente, non è impegnata a dare sviluppo a un rapporto con la propria interiorità, e quindi alle potenzialità racchiuse in essa, ma si muove al di fuori di sè, inseguendo quello che la fa risultare brava agli occhi altrui. Sta anteponendo la ricerca dell’approvazione dell’altro all’intesa con se stessa. In questo modo la spinge a confrontarsi con le spinte egemoniche della nostra parte razionale egoica, per la quale l’unica cosa che conta è il riconoscimento esterno e dunque l’immagine, la riuscita. La parte razionale vive in funzione di quello che gli altri vedono e pensano di noi e cerca unicamente di bene impressionarli.

E’ nel costante sforzo di piacere, di dimostrarsi adeguata a qualcosa che è esterno a sé. E’ una parte di noi divenuta preponderante, avendo noi perso il contatto con la dimensione interiore, che invece si muove in tutt’altra direzione. L’interiorità ci fa percepire questo vincolo al dover apparire in un certo modo, al dover dimostrare agli altri di essere corrispondenti all’immagine che riscuote l’ammirazione. La nostra parte profonda non vuole piacere, non vuole dimostrare, vuole sottrarsi da questo vincolo, ma per poterlo fare deve farci riconoscere quanto tenacemente ne siamo legati. Dobbiamo dunque confrontarci con questa parte di noi che ha come unico scopo l’essere lodata  e spinge tutto in questa direzione. E’ importante riconoscere la forza di questo vincolo e non minimizzarlo spostando l’attenzione su delle cause esterne che ci fanno eludere il confronto con questa parte di noi divenuta così preponderante.  Non si tratta dunque semplicemente di dire “freghiamocene di quello che dicono gli altri”, ma vedere quanto è forte il vincolo al dover piacere all’altro, quanto di noi stiamo dando in quella direzione. La persona spesso si rammarica del mancato riconoscimento da parte degli altri, senza mai chiedersi perché ha bisogno di questo riconoscimento, aprendo il confronto con se stessa sul suo bisogno di risultare capace agli occhi altrui.

Non ci si sente fragili perché non si ritiene di essere abbastanza bravi, ma perché si sta inseguendo questa immagine del “bravo bambino” e della “brava bambina”, che fa bene le cose secondo quanto è stabilito dai modelli esterni, invece di far vivere qualcosa di proprio, che ha un legame con sé. La persona continua a cercare di fare ciò che è “giusto”, inseguendo ciò che riceve un avvallo esterno invece di scoprire il senso che ogni cosa ha per lei, aprendosi così alla scoperta di se stessa. Il rischio è quello di una vita in cui si finisce con l’impersonare un ruolo, una maschera di adeguamento e adattamento per compiacere e piacere all’altro, senza mai realizzare ciò che profondamente ci appartiene. L’interiorità solleva questo tema esistenziale, per mostrare alla persona la sua dipendenza dal pensiero comune e dall’approvazione esterna, altrimenti finirà solo con il condizionare sempre di più il senso di se stessa a qualcosa che è esterno a sé. L’inconscio non alimenta alcuna illusione di forza, laddove la persona è tutta rivolta all’esterno, senza un radicamento a sé. Vuole vedere autenticamente le cose, facendola vacillare, non consentendole di procedere in maniera sciolta né tantomeno di mistificarsi con spiegazioni che attribuiscono tutto a cause esterne. La persona ricorre a spiegazioni che fanno dipendere la sua mancanza di autostima da ciò che non le è stato dato dagli altri, a partire dall’epoca infantile, senza riferire nulla a sé. Elude in questo modo il confronto con se stessa, non si chiede cosa sta rincorrendo, cosa sta facendo di se stessa e della sua vita.

L’inconscio non asseconda queste spiegazioni, ma la mette di fronte alla scelta tra una vita tutta appoggiata al senso comune, vissuta in funzione dello sguardo esterno o fatta crescere a partire da sé. I segnali interiori non sono dunque esiti di guasti provocati da cause esterne che hanno agito su di noi, ma svolgono una funzione importante, permettendo alla persona di guardare dentro se stessa, di sollevare dei temi esistenziali con cui è fondamentale che apra il confronto. Soltanto se la persona comincia ad ascoltarli, senza più soffocare questa voce interiore sovrapponendogli delle spiegazioni esterne, potrà iniziare a percepirsi come una unità che si è spezzata e a sentire il richiamo interiore a ritrovare l’intesa profonda con se stessa, base per un’autentica autostima.

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